“Prima tifosi delle Brigate, poi dell’Hellas”, un famoso slogan veronese. I bresciani contro Balotelli. Gli interisti contro Lukaku. A Torino attaccano Mazzarri. A Napoli scioperano contro le leggi
Il comunicato contro l’allenatore e i suoi riferimenti culturali, il comunicato contro il giocatore nero vittima di razzismo, il comunicato contro il regolamento d’uso dello stadio, il comunicato contro i giornalisti, il comunicato contro gli altri tifosi. Gli ultras comunicano. Comunicano un sacco. Comunicano come una sola squadra, con un unico addetto stampa. Comunicano una “mentalità” – sì, ci tengono assai – un’estraneità, rivendicano un mondo a parte, fanno gruppo nell’alienazione. Sempre più soli, ma tutti insieme contro. Contro le leggi, soprattutto. E spesso contro il buonsenso, tradotto male in “buonismo”.
Il calcio è solo una miccia, spesso è una scusa. Serve a ribadire un linguaggio, la retorica della “maglia sudata”, visto che conta solo quella: “solo la maglia”. Ma è un pretesto. Un famoso slogan delle Brigate Gialloblù veronesi diceva: “Prima tifosi delle Brigate, poi dell’Hellas”. C’è tutta l’autoreferenzialità del fenomeno, un avvitamento carpiato dell’identità: tifo dunque sono, ma tifo per me.
Non è un controsenso. Più che altro è un cortocircuito che produce prese di posizione inverosimili. Se Lukaku viene offeso dai cori razzisti a Cagliari, gli Ultras dell’Inter scrivono una lettera al proprio giocatore per difendere i colleghi sardi: non è razzismo, è scherno. Se Balotelli mostra il dito medio alla curva dell’Inter che ulula, e poi calcia un pallone contro quella veronese per lo stesso motivo, i tifosi del Brescia scrivono una nota – anzi, un tomo – per sottolineare che però Balotelli è arrogante, eh, non si fa il dito medio alla gente. Dai.
Se l’allenatore del Torino, per spronare la squadra a lottare di più in campo, usa l’esempio dello juventino Chiellini, gli ultras granata scrivono un papello per suggerire al presidente Cairo di licenziarlo, perché “è una provocazione insopportabile!”. Come si può mai prendere come esempio “un gobbo”?
Se allo Stadio San Paolo di Napoli d’un tratto, con il restyling, arriva anche la lunga mano della legge con le multe e i daspo a far rispettare il regolamento d’uso, gli ultras del Napoli scrivono – stavolta un volantino – per dire che se non possono tifare in piedi sulle balaustre, allora loro allo stadio non ci vanno più e amen.
Per non parlare dei comunicati omnicomprensivi, quelli che stappano pentoloni di rabbia tenuta a sobollire e che poi mettono tutto assieme. Come quello famoso degli Irriducibili laziali indirizzato a tutti “i soliti noti: giornalisti benpensanti di sinistra, romanisti, vertici del calcio italiano, ma anche i laziali stessi!”. Raggiungendo vette inesplorate di “mentalità” in purezza: tifosi contro tifosi della stessa squadra. Gioielli di retorica, nei quali l‘infamia degli adesivi su Anna Frank attaccati all’Olimpico diventa un “delicato tema” “chiaramente strumentalizzato ed ingigantito”. Per non parlare del volantino del tifo biancoceleste riservato in curva ai soli maschi.
Il comunicato degli ultras bresciani su Balotelli parla di “certe manifestazioni plateali, provocatorie e apparentemente razziste”.
Apparentemente.
Argomenta che il razzismo “esiste, esisteva ed esisterà sempre”, ma che “l’arroganza” dell’attaccante della squadra per cui tifano “diventa motivo di tensione e d’imbarazzo per la tifoseria”.
Imbarazzo.
E che il coro dei tifosi dell’Inter contro il giocatore della squadra per cui tifano era “forse offensivo e provocatorio, ma di certo non razzista”.
È una granella di episodi che tradisce una forza attrattiva tra gruppi diversi, tifosi di squadre rivali, uniti spesso da quelli che loro definiscono “valori” ma che il resto del mondo chiama “illegalità”: l’ostinata repulsione a regole che non siano le “loro” regole, e una tronfia propensione all’autoassoluzione vicendevole. Si difendono pubblicamente, poi la domenica allo stadio magari si menano. Ma anche lì… è la mentalità. E che vuoi che ne capisca il resto del mondo.
“I giovani italiani hanno saputo creare un modello di tifo che oggi è fonte d’ispirazione dall’Indonesia al Portogallo, dal Marocco alla Svezia, dalla Palestina al Canada. La genialità della prima generazione di ultras in Italia e di quelle dopo, è di avere saputo trasformare quello che poteva sembrare una semplice moda in una vera e propria sottocultura giovanile”
dice in un’intervista Sébastien Louis, autore di “Ultras. Gli altri protagonisti del calcio”, sorta di libro-bibbia per la comprensione del mondo ultras. Ma, aspetti sociologici a parte, è un fatto che il movimento delle tifoserie organizzate, sempre più parcellizzato, abbia trovato in una fitta rete di alleanze – sui principi, più che fattuali – una modo per prendere potere. Per darsi un peso istituzionale che hanno sempre rivendicato chiedendo e ottenendo – per esempio – colloqui di chiarimento con allenatori e giocatori. E per perseguire obiettivi sempre più “politici”: le contestazioni alla squadra che perde sono folklore, si bada ad altro.
Gli ultras della curva B napoletana che scioperano la sera di una partita fondamentale della stagione azzurra, lo fanno contro una legge, contro l’ordine costituito: non gli si consente più di essere al di sopra dei tifosi normali, quelli che per esempio trovano da sempre transennate alcune file di poltroncine perché riservate a loro, agli ultras.
I tifosi del Torino protestano sì contro l’allenatore ma lo fanno anche contro la società, contro l’establishment, per la chiusura del Filadelfia.
Il sindaco di Verona e il presidente del Verona che corrono a giustificare i cori razzisti della curva dell’Hellas definendoli “ironici” sono il risultato di una saldatura storica tra stadio ed estrema destra che a Verona è ormai al potere da anni.
È un fatto che, sul lungo periodo, questa strategia funzioni. L’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini che partecipa alla festa dei tifosi del Milan e si fa fotografare con Luca Lucci, condannato per spaccio di droga e per aver fatto perdere un occhio a un tifoso interista durante una rissa, è un segno dei tempi. Il mondo ultrà col calcio c’entra sempre di meno, Lo dicono da un bel po’: “Questo calcio ci fa Skyfo”. È un mezzo, il pallone. E rotola altrove.