Ha chiuso i varchi al centro e ha provato ad abbassare i ritmi. È stata una partita studiata nei minimi particolari, basata anche su una grande difesa. Ora si lavori sulla fase offensiva
Ancelotti ha scelto
La lettura più immediata di Liverpool-Napoli è quella della partita in trincea della squadra di Ancelotti. È vero, ma non del tutto. Nel senso che c’è stato altro, tanto altro ad Anfield Road. C’è stata una scelta precisa da parte dell’allenatore del Napoli: determinare l’unico contesto possibile in cui la sua squadra potesse uscire indenne dalla sfida contro gli uomini di Klopp. O quantomeno potesse limitare i danni. È andata proprio così, gli azzurri sono andati in campo con certe idee in testa e le hanno concretizzate nella realtà. Vediamo quali.
Innanzitutto, le scelte iniziali: Maksimovic terzino destro come un anno fa, proprio contro il Liverpool Ancelotti inventò questa posizione per il serbo ex Torino; Di Lorenzo esterno alto; Lozano e Mertens in attacco. La formazione derivata, in realtà, non è stata molto diversa dal solito: 4-4-2 estremamente rigido in fase difensiva; costruzione a tre difensori; due esterni a tutta fascia; centrocampo a tre e attacco a due. Lo stesso Ancelotti, nel postpartita, ha spiegato come l’avvicendamento Callejón-Di Lorenzo sia stata una scelta puramente di formazione, che non ha alterato le consegne tattiche per il calciatore inserito in quello slot della squadra. Sotto, un frame che mostra chiaramente la disposizione del Napoli in fase di possesso .
Difesa a tre, due esterni molto ampi e tre centrocampisti scaglionati a seconda dell’orientamento del pallone. In questo frame sono percettibili anche i principi del Liverpool di Klopp: reparti strettissimi, squadra corta e pressing basato sulle traiettorie della palla.
Finora abbiamo parlato di posizionamenti e spaziature, ovvero della disposizione in campo per gli uomini scelti nella formazione titolare. Il piano partita, però, era basato sull’atteggiamento, sui principi di gioco. Il Napoli visto ad Anfield è stata una squadra che ha cercato di abbassare il ritmo per tutti i novanta minuti. Era un obiettivo difensivo, ma anche offensivo, perché mantenere un’intensità bassa vuol dire limitare le azioni pericolose del Liverpool, ma anche creare i presupposti per attaccare al meglio la fase di non possesso dei Reds.
È un sistema ormai consolidato contro la squadra di Klopp: in quattro scontri diretti, Ancelotti ha vinto due volte, ha pareggiato una volta e ha subito una sola sconfitta. Netta nel gioco, certo, eppure di misura. Comunque di misura. Un anno fa. È evidente come l’allenatore del Napoli abbia trovato la formula per gestire le folate dei Reds, una squadra abituata ad attaccare in due modi: sfruttando il pressing ultraoffensivo, così da recuperare il pallone in zone alte di campo e colpire in transizione, oppure con azioni da lato a lato, saltando quasi completamente la costruzione dei centrocampisti.
Tutti i giocatori del Napoli sono impegnati nella fase difensiva, ma non azionano un pressing ultraoffensivo. Piuttosto fanno densità al centro costringendo il Liverpool ad allargare il gioco. Le distanze estremamente ravvicinate hanno permesso continui scivolamenti orizzontali senza perdere compattezza, neanche sul lato debole generato da un eventuale cambio di campo. Nel postpartita, Ancelotti ha spiegato e motivato questa scelta: «Quando ha meno spazio da attaccare, il Liverpool diventa più semplice da gestire».
Come vediamo nel frame appena sopra, la disposizione e l’atteggiamento del Napoli ha impedito proprio questo. Ancelotti ha deciso di intasare gli spazi, di fare densità in zona centrale così da costringere il Liverpool ad allargare il gioco. I dati a fine partita mostrano come questa strategia abbia funzionato: il campetto in basso individua le zone in cui la squadra di Klopp ha costruito le sue azioni, e sono quasi tutte sugli esterni; i Reds hanno crossato per 40 volte (!) nell’area avversaria, eppure i tiri in porta su azione manovrata sono stati solo 2 (Milner nel primo tempo e Salah nella ripresa) su 5, mentre le conclusioni tentate verso la porta di Meret sono state 15 in tutto.
E poi: Manolas e Koulibaly, fisicamente più strutturati dei tre attaccanti del Liverpool, hanno ribattuto il pallone per 22 volte, 14 il greco e 8 il senegalese; infine, non sfugga come nella ripresa Klopp abbia cambiato solamente gli esterni (Oxlade-Chamberlain è entrato per fare il laterale basso, poi Alexander-Arnold ha preso il suo posto) così da provare a forzare il gioco negli unici spazi realmente concessi dal Napoli.
Distribuzione orizzontale delle azioni costruite dal Liverpool.
Determinare il contesto (fin quando è stato possibile)
Come accennato già in precedenza, il Napoli ha costruito questa partita, ha voluto giocarla proprio così, ha tentato di determinare il contesto di gioco del Liverpool. In pratica, ha costretto la squadra di Klopp a non esprimersi secondo le proprie migliori qualità. È un approccio che può sembrare conservativo, ma che allo stesso tempo ha portato la squadra di Ancelotti al gol del vantaggio, e poi alla costruzione ripetuta di altre occasioni in fase di ripartenza. Tutte simili a quella del gol.
Esasperazione della costruzione bassa e verticalizzazione immediata. Pressing del Liverpool eluso. Tempi leggermente sbagliati, Lozano è in fuorigioco.
Nel primo tempo, questo è stato possibile perché il Liverpool non è riuscito a portare il ritmo di gara ad alti livelli. Sopra abbiamo parlato dei meriti del Napoli in fase difensiva, certo anche la squadra di Klopp non ha offerto la sua miglior prestazione stagionale. A questo, vanno aggiunti gli accorgimenti di Ancelotti in fase di possesso palla: il gioco del Napoli è stato fondato sull’esasperazione dell’impostazione bassa (144 passaggi su 169 erano diretti nei primi due terzi di campo, cioè non nella trequarti avversaria), e poi verticale e immediato nella ricerca delle due punte alle spalle della difesa avversaria. Non a caso, gli azzurri hanno cercato il lancio lungo per 27 volte e hanno conquistato 9 punizioni nella prima frazione di gara. Due dati che testimoniano come il piano partita sia stato eseguito, al di là del risultato positivo con cui si è arrivati all’intervallo.
La volontà era di ripetere quanto fatto nella partita d’andata: stanare il pressing ultraoffensivo del Liverpool, attirare i giocatori di Klopp nella metà campo offensiva, per poi lanciare Lozano e Mertens negli spazi che inevitabilmente venivano a crearsi. Nella ripresa, questo non è stato più possibile. Non a caso, la squadra di Ancelotti non ha tentato nemmeno una volta la conclusione in porta nei secondi 45′ di gioco.
Rispetto a quest’ultimo (eloquente) dato, vanno sottolineati i meriti della squadra di Klopp. Che, da un certo punto della partita in poi, è riuscita a trovare le sue misure abituali, ha alzato l’intensità del pressing. E ha finito per schiacciare il Napoli nella sua metà campo. È la grande forza dei Reds, che grazie a questo approccio ipercinetico e alla qualità dei giocatori a disposizione sono riusciti a giocare due finali consecutive di Champions League, hanno vinto 12 partite su 13 in Premier e finora avevano trionfato in tutti i match di questa stagione giocati ad Anfield. Come dire: ci sono delle partite per cui il pareggio è un risultato positivo. Ecco, Liverpool-Napoli è una di queste partite.
Conclusioni
Rispetto alla sfida d’andata, pure volendo andare di là del risultato, le sensazioni che lascia in eredità Liverpool-Napoli sono meno esaltanti, per la squadra di Ancelotti. Al San Paolo, infatti, gli azzurri avevano giocato alla pari con la squadra di Klopp. Ieri sera la superiorità del Liverpool è stata evidente per un lungo segmento della partita, ma il fatto che gli azzurri siano riusciti a resistere alla pressione di un avversario fortissimo, tra l’altro fuori casa, e senza troppe occasioni da gol concesse, è un ottimo segnale. Soprattutto dal punto di vista psicologico, perché la solidità arretrata del Napoli non è una novità, come detto già negli ultimi articoli di questa rubrica il problema tattico del Napoli è essenzialmente offensivo.
Quindi ora il lavoro di Ancelotti passerà dal recupero di una fase d’attacco efficace. Perché un pareggio contro il Liverpool è sicuramente un risultato positivo, ma uno contro il Bologna – così come contro Spal, Atalanta, Genoa e Milan – non può essere considerato allo stesso modo. Il Napoli ha buonissime qualità individuali e di squadra, ha vissuto un periodo turbolento dal punto di vista emotivo che ha inficiato anche il rendimento sul campo. Il fatto che gli azzurri siano riusciti a strappare un risultato così positivo, così importante, contro una delle squadre più forti del mondo, senza snaturare troppo la propria identità, è il viatico migliore per raddrizzare la stagione. C’è ancora tutto il tempo per provarci. E, soprattutto, c’è stata Liverpool-Napoli, che ci ha detto come ci sia tutto ciò che serve – materiale umano e strumenti tecnico-tattici – per riuscirci.