Il regista intervistato dal CorMez: “Finivo sempre per fare a botte con i coetanei. Era un clima vessatorio. Non mi ribellai perché il mio carattere mi spinge a dover fare parte di un gruppo, di una tribù”
Il Corriere del Mezzogiorno intervista Gabriele Salvatores. Il regista premio Oscar confessa di aver sposato la fede interista solo costretto dalle pressioni dei milanesi, diventati suoi concittadini dopo essersi trasferito a Milano quando aveva sei anni. Un trasferimento dovuto al lavoro del padre avvocato.
«Tifavo Napoli e finivo sempre per fare a botte con i coetanei che alla fine mi “costrinsero” a tifare per una squadra milanese e scelsi l’Inter perché aveva il colore azzurro nelle maglie».
Salvatores confessa di non essersi ribellato per il suo bisogno di sentirsi parte di un gruppo. Racconta:
«Il mio carattere mi spinge a sentirmi di dover fare parte di un gruppo, di una tribù. Vivere a Milano a quel tempo era una vessazione continua. Molto dopo ho diretto un documentario su quel periodo degli anni Sessanta e ricordo i milanesi che intervistavo che mi dicevano: “Dobbiamo ringraziare i terroni. Senza di loro non ce l’avremmo fatta”».
Tra i temi trattati nell’intervista, anche la rappresentazione cinematografica di Napoli, sempre più serializzata.
«Napoli è anche una città “nera”. Ma il parlare costantemente della malavita, mi sembra un’operazione di moda, come se volessero strizzare l’occhio ai film di Martin Scorsese e, invece di ambientarli in America, scelgono Napoli come location. Mi dà fastidio l’idea di un napoletano che fa il cattivo e maneggia sempre una pistola che punta alle tempie di qualcuno».