L’esonero di Ancelotti rischia di simboleggiare uno spartiacque dell’era De Laurentiis. Napoli è una città con potere attrattivo nullo. A Liverpool hanno stravolto la città, qui si parla ancora di Bagnoli
Quando, un anno e mezzo fa, il Napoli di Aurelio De Laurentiis ingaggiò Carlo Ancelotti, ipotizzammo che dietro la scelta del club ci fosse una visione lungimirante. Avevamo legato l’operazione a un’intuizione o anche a uno studio dei mutamenti in corso nella geopolitica del calcio. Un universo, come sta accadendo per tanti altri settori, che tende a concentrare la ricchezza fino a creare un calcio di serie A e uno di serie B. Un calcio per ricchi e un calcio per gli altri. È il progetto della SuperLega di cui paradossalmente si parla meno proprio mentre sta compiendo significativi passi in avanti.
Venne fuori con Football Leaks che il progetto prevedeva la partecipazione di quattro squadre italiane: Juventus, Inter, Milan, Roma. Ne derivarono vibranti polemiche, Andrea Agnelli (e non solo) si affrettarono a formulare smentite di facciata. Il modello è quello Nba, non prevede retrocessioni. È il principio che viene contestato dalle varie leghe nazionali, ma non è solo questo. I campionati nazionali passerebbero in seconda fascia rispetto alla SuperLega, anche i giorni di gara sarebbero invertiti. I campionati si giocherebbero in turni infrasettimanali.
Ancelotti, oltre che un signore allenatore (forse il più vincente in circolazione), è un uomo immagine. Il Napoli con Ancelotti sembrava aver imboccato una strada. De Laurentiis aveva capito che bisognava darsi da fare per non perdere il treno più importante. Arrivarono lo store su Amazon, il video con Ancelotti che consegnava le maglie ai tifosi del Napoli a Milano (altro segnale importante: la forza di Napoli, anche e soprattutto commerciale, è fuori Napoli). Poi, sappiamo tutti come è andata a finire. De Laurentiis ha esonerato Ancelotti che adesso è allenatore dell’Everton club ricchissimo che ha puntato su di lui per un progetto di crescita che ha l’ambizione di riportare il club ai vertici del calcio inglese.
Ci torneremo su Liverpool. Prima, però, bisogna soffermarsi su quanto sta accadendo a duecento chilometri da Napoli. Dove la Roma è in trattativa per cambiare proprietà. James Pallotta sta per lasciare e sta per mettere a segno una straordinaria operazione: la vendita della As Roma per una cifra record che sfiora il miliardo. Il nuovo presidente giallorosso sarà (se tutto andrà come sembra) ancora americano: Dan Friedkin per Forbes il 504esimo uomo più ricco al mondo. Un impero di concessionarie di automobili, ma anche cinema (ha prodotto, tra gli altri, “The mule” di Eastwood), turismo di lusso (anche beneficenza) e ora calcio dopo aver provato a entrare in Nba.
Gli americani, come scrive Sconcerti, non si muovono a caso. Non spendono, investono. E l’investimento – monstre – è molto probabilmente legato alla prossima nascita della SuperLega, altrimenti non si spiegherebbe. I tifosi ragionano da tifosi. Ma non si investe un miliardo di euro per vincere lo scudetto che non interessa più a nessuno.
La Roma si è seriamente candidata, per non dire che ha ipotecato il quarto posto italiano in Superlega. Si potrebbe ovviamente discutere della liceità della presenza del Milan. Ma anche in casa rossonera le acque si stanno muovendo. Si scrive di un interessamento di Arnault, in ogni caso al momento c’è Elliott. La stessa Atalanta – che la stampa italiana continua a trattare come la piccola provinciale – ha alle spalle un impero economico-finanziario-imprenditoriale mica da ridere: il patrimonio di Percassi (come da Sole 24 Ore) è pari a quello di Mansour lo sceicco del Manchester City.
La geopolitica del calcio è in rapida evoluzione. E anche per questo – oltre che per comprensibilissime motivazioni tecniche, al di là del valore di Gattuso che è un buon allenatore (non è questo in discussione, il discorso è decisamente un altro) – che ancora fatichiamo a comprendere la decisione di esonerare Ancelotti. Il serio pericolo che rischia di correre il Napoli è di rimanere fuori dal primo cerchio, di restare nella seconda fila, la fila di coloro i quali partecipano a un altro spettacolo decisamente più modesto sia dal punto di vista tecnico ma soprattutto dal punto di vista finanziario.
E qui torniamo a Liverpool. Perché immaginiamo che qualcuno adesso dirà: “e ma noi lo abbiamo sempre detto che il modello De Laurentiis era obsoleto”. Sì certo, a chiacchiere siamo bravi tutti. A Liverpool, però, nel giro di trent’anni – forse anche meno – hanno rivoluzionato il volto della città. C’è stato uno stravolgimento urbanistico, come peraltro accaduto in tantissime città europee. La zona fronte mare è diventata un polo museale e non solo: un luogo attrattivo. Hanno creato una sorta di Centro Direzionale al centro della città. Per non parlare di Manchester uno dei più importanti centri congressuali d’Europa. Chi ha ancora negli occhi le tristi cittadine post-industriali, si sbaglia di grosso. L’Everton ha investito su Ancelotti parallelamente all’investimento sul nuovo stadio che vedrà la luce proprio l’ultimo anno di contratto dell’allenatore.
A Napoli è ripartito il trentennale del dibattito sul futuro di Bagnoli. Sarebbe bello organizzare una mostra fotografica sui volti dei partecipanti al dibattito in questi trent’anni. Come quel giochino che ogni tanto circola sul web: le quattro sorelle che si sono fatte la stessa fotografia ogni anno. Come eravamo, come siamo invecchiati, un momento di silenzio per chi non c’è più. Napoli è una città immobile, che non attira investitori. Le immagini natalizie dei turisti alle prese con la vergogna dei trasporti cittadini, rappresentano solo l’ultima cartolina. Non è tutto da buttare, la gastronomia ad esempio è un’eccellenza (e non solo la gastronomia), ma dubitiamo fortemente che Napoli attragga sceicchi, emiri, magnati americani. Napoli è periferia. Ogni anno, tanti giovani vanno via, e non è più l’emigrazione dei disperati, è l’emigrazione dei consapevoli (spesso benestanti). Per questo il lavoro compiuto fin qui da De Laurentiis è stato eccellente. Non disconosciamo quanto fatto in questi quindici anni. Ma per lo stesso motivo non possiamo non registrare che l’esonero di Ancelotti – con il contemporaneo rigurgito di sarrismo da parte di De Laurentiis, proprio mentre il mondo calcistico sta andando in un’altra direzione – rischia seriamente di segnare uno spartiacque nel progetto Napoli. Ben al di là dei risultati in campo. Del quarto posto, del quinto posto (è decisamete più un’opportunità la sfida Champions col Barcellona). Lo scrivemmo subito, all’indomani dell’esonero: è finita la diversità di De Laurentiis rispetto alla città. È come se improvvisamente il Napoli avesse rallentato.
A duecento chilometri invece, se l’operazione Friedkin dovesse andare in porto, la Roma comincerebbe a girare a un’altra velocità. Che oggi questo Napoli non può consentirsi. La speranza è che anche stavolta De Laurentiis possa cavarsela, ma le carte in tavola sembrano dirci il contrario. Il timore che l’età dell’oro possa aver imboccato il viale del tramonto, è innegabilmente forte.