Ancelotti, come Benitez, è troppo per questa città. Prendo atto che tutto ciò che ritengo positivo per Napoli viene invece violentemente osteggiato dai napoletani
Molti anni fa, ormai moltissimi, mi accinsi a preparare uno dei primi esami all’università, quello di Fisica I. Lo sostenni con un professore di cui avevo grande ammirazione. L’esame andò abbastanza bene ma ebbi qualche titubanza. Il docente, al momento di giudicarmi, si consultò a lungo con un assistente e poi decise di darmi il massimo dei voti. Mi spiegò: “Le voglio dare trenta per spronarla: lei ha gli strumenti per proseguire bene ma deve avere il coraggio di adoperarli”. La mia avventura universitaria proseguì piena di titubanze, di alti e bassi. Ero un terrorizzato cronico che cercava faticosamente e non senza decisioni maldestre di uscire dal guscio. Poi terminò molto bene, anche con una buona dose di fortuna, che mai deve mancare. Ma di quel professore mi innamorai. Nel tempo mi sono chiesto se quell’amore fosse tutto sommato dovuto al suo trattamento benevolo nei miei confronti. Non posso escluderlo. Di sicuro una componente fu e resta il piccolo rischio che egli decise di prendersi nel sopravvalutarmi, in quel momento, e scommettere su di uno sbarbatello. Quel giorno imparai una declinazione del coraggio e come essa funziona solo se si ha conoscenza. In seguito quella facoltà mi insegnò che la realtà non può essere ignorata, che tutto gira attorno a risultati macinati da sofisticati esperimenti e che se quella realtà non ti si confà allora è bene che sia tu a cambiare posizione, perché la natura, i fatti, le cose concrete che ti circondano non si accorderanno mai ai tuoi sogni. E questo, tutto sommato, non è un male. Anzi, a volte è proprio la nostra salvezza.
Ancelotti al Napoli era più di un sogno. Oggi il dato sperimentale si è incaricato di ribadire la realtà: era un’illusione. Napoli non può supportare un gigante come Mr Carlo proprio come e forse più di quanto accaduto con Rafa Benitez. Lo spagnolo, ultimo vincente in città, aveva pochi peli sulla lingua: colto, ambizioso e con un discreto culto della propria personalità, fu lui a decidere di tagliarla corta. Oggi, invece, con qualche clamore in più, a sancire la rescissione del rapporto è la società calcistica dalla quasi secolare storia perdente a ritenere che uno dei più vincenti della storia non sia adeguato alla propria guida tecnica. Il presidente, va detto, fa una scelta legittima: tra il pericolo di perdere valore e rosa e ritrovarsi con un pugno di mosche sull’orlo della sparizione e l’idea di trovare un responsabile e sacrificarlo per il bene comune, sceglie la seconda. Aurelio De Laurentiis è infatti un ottimo presidente ma non Tony Stark e se nella nostra fantasia desiderante un imprenditore capace diventa IronMan il problema è nella nostra mente prima ancora che negli altri.
Resta dunque il quesito: cosa dobbiamo fare? Cosa decido di fare io? Da una parte non posso fare a meno di notare un risultato sperimentale: il meglio, ai miei occhi, di quanto accade a Napoli nel Napoli viene osteggiato con una violenza che conduce costantemente alla sua soppressione. Di contro, le vicende che più mi disturbano per la loro nocività ottengono tributi altisonanti. Su questa verità storica c’è semplicemente poco da fare. Il Napoli è e continuerà ad essere una storia importante della mia vita ma il padrone dei miei sentimenti è il sottoscritto e se mi innamoro di chi viene odiato e provo una decisa avversione per chi viene idolatrato forse è il caso di prenderne atto. Né De Laurentiis è obbligato ad essere il mio Mago di Oz, né io sono costretto a farmi piacere ciò che non so far altro che rigettare. Un altro di quei professori di cui mi innamorai mi chiese inaspettatamente, a fine corso, se avessi deciso di lasciare Napoli. All’epoca non ne vedevo la necessità e risposi di no. “Peccato – mi disse – Io credo sia un dovere civico”. Io sorrisi come sorridevo spesso alle sue iperboli, poi il tempo mi insegnò che si sorride ad una risposta quando si è ancora troppo fessi per comprenderne il senso.
Il Napoli ha scelto legittimamente di far quadrato. Perché nel perimetro noto a tutti si può ritrovare serenità. Ha scelto di rimanere a Frattamaggiore, che non è un crimine. È solo che, a differenza di quanto immagina in modo molto naïf una larga parte dei detrattori di questa testata, a me di combattere le guerre private di chicchessia, incluso Aurelio De Laurentiis, non me ne frega niente. E, con sincero rispetto per le decisioni di tutti, nulla mi interessa neppure di Frattamaggiore. A me interessa fare quegli esami e seguire chi sa ispirarmi oltre il recinto, perché sono rimasto un introverso timoroso che si innamora di chi gli insegna che oltre il perimetro segnato, fuori dagli applausi camerateschi di qualunque spogliatoio, c’è roba di cui è bene essere curiosi. Se ciò significa essere stranieri, meglio essere stranieri.
A Gattuso faccio tutti i più sentiti auguri. È ritenuto, dagli stessi che considerarono Sarri un intellettuale, un paesanaccio ruspante. Ma il calcio – e temo Ringhio lo sappia – è il regno dell’effetto Dunning-Kruger, la distorsione cognitiva per cui a sopravvalutarsi in un campo sono sempre quelli più incompetenti. Quelli a cui Napoli non sta stretta – piaccia o meno – lo sono.
In bocca al lupo anche al Napoli. Senza multe e con un sacro 4-3-3 potrà proseguire in Champions quanto ha già iniziato.
Io mi tengo Ancelotti. Come mi tenni Benitez. La passione è la mia. Non è tanto ma, quella sì, la può avere solo chi se la merita.