Ha abbandonato i panni del profeta del calcio contemporaneo e si è calato nella realtà dei 24 punti. In campo e nelle dichiarazioni
Bisogna tornare a essere squadra, ad avere voglia di soffrire. Non si può giocare sempre di fioretto, bisogna giocare anche col coltello tra i denti. Non possiamo fare quelli biondi con gli occhi azzurri.
Dall’inizio della sua avventura a Napoli, ci siamo interrogati sulla discrepanza tra l’immagine – stereotipata ed eccessiva – che accompagna Gattuso e la presentazione nonché la messa in pratica delle sue idee di calcio. Gattuso, a dispetto del soprannome Ringhio e di tutta la retorica che da sempre lo avvolge (scrivemmo di sindrome Jessica Rabbit), si è presentato come un restauratore del 4-3-3, del gioco di Sarri e di tutto quel che ha rappresentato. Che, vale la pena ricordarlo, oggi nemmeno Sarri pratica più, non lo ha proposto nemmeno al Chelsea, senza dimenticare che sono passati due anni, che tanti calciatori di quella squadra non ci sono più (Albiol, Hamsik, Jorginho). E, soprattutto, ci aveva turbato con dichiarazioni che somigliavano a quelle di uno dei tanti profeti che affollano il calcio contemporaneo. E distanti da uno degli emblemi italici del “non mollare mai”
Nelle prime partite, il Napoli ha perso contro il Parma per una ripartenza all’ultimo minuto (sia pure favorita da una scivolata di Zielinski) e per un errore tecnico ma anche politico di Ospina che a Roma aveva incoscientemente provato a dribblare Immobile in area invece di buttare la palla in tribuna.
Il pensiero che ci frullava nella testa era: va bene che la retorica del Ringhio è insopportabile, però non ci aspettavamo di trovare un integralista del calcio che oggi tanto piace, addirittura un purista che pur di non sporcare la costruzione da dietro è disposto ad assumersi il rischio di prendere un gol.
Poi, però, la conferenza post Napoli-Fiorentina ci aveva fornito un primo segnale positivo. «Non è possibile che la squadra di Gattuso non lotti, non dia l’anima in campo». E ieri sera, contro la Lazio, abbiamo visto un Napoli più quadrato, un Napoli che ha lottato, che si è adeguato a quel che stava accadendo in campo. Non una squadra che seguiva le sue teorie e i suoi principi a dispetto di tutto. Anche la sostituzione Lobotka-Luperto ci è parso un segnale di pragmatismo, di piedi ben piantati per terra. Così come Demme davanti alla difesa.
Il che non vuol dire che il calcio di Gattuso sia solo grinta (per il sottoscritto non ci sarebbe nulla di male, ovviamente), anzi. Come ha spiegato Alfonso Fasano, è un calcio basato sul possesso. Oggi lottare pare essere diventata una bestemmia, quasi quanto il contropiede che resta l’anatema assoluto. Il calcio che ci piace (che piace a chi scrive) è il calcio di chi sa soffrire, sa sacrificarsi e soprattutto capisce il momento, legge la partita. Insigne ha risolto la partita con un gol d’autore, ma lo abbiamo visto anche prodigarsi in mille recuperi. Ci appassiona molto di più.
Abbiamo avuto l’impressione che Gattuso si sia finalmente calato nella realtà napoletana. Era arrivato come se fosse stato teletrasportato un anno e mezzo indietro. Ieri sera ci è parso con i piedi ben piantati nel terreno. Sintetizzando e un po’ scherzando (ma non troppo), potremmo definire il suo un guardiolismo temperato. Anche le dichiarazioni sui 24 punti sono certo parte di una retorica ma rendono l’idea in maniera efficace. «Oggi valiamo 24 punti, tutti, allenatore, giocatori, presidente, ambiente». Una frase che ha riportato alla memoria quella di Renzo Ulivieri quando venne ad allenare il Napoli in Serie B. «Siamo tutti da Serie B». Ci auguriamo ovviamente che l’esito sia diverso.
A proposito di esito, vogliamo esprimere un altro concetto. Non rincorriamo la svolta. La svolta non esiste. La svolta presuppone che il passato sia andato male chissà per quali misteriosi motivi. Non c’è stata svolta, o almeno non lo sappiamo, non possiamo saperlo. Altre volte ci siamo illusi. Ancora una volta, questa squadra ha dato l’anima e ha ritrovato sé stessa in una partita secca: come nel doppio confronto col Liverpool, come a Salisburgo, come in campionato contro l’Atalanta. Ieri finalmente, oltre ad aver giocato una partita col sangue agli occhi, ci hanno sorriso alcuni eventi. Stavolta sono scivolati loro e non noi: Immobile sul rigore e Milinkovic Savic nell’azione che ha portato all’espulsione di Lucas Leiva. Ma la fortuna non esiste, come non esiste la sfortuna cui Gattuso non si è mai aggrappato. La fortuna bisogna meritarsela.
Viviamoci i momenti positivi, collezioniamo gli attimi. Il processo di guarigione non è terminato. Però siamo più sereni. Abbiamo visto Gattuso calato nella realtà. Ci sembra un buon punto di ri-partenza (non sia mai dire contropiede).