Carlo aveva un progetto troppo ambizioso per questi calciatori: giocare in più modi, persino nella stessa partita. Il calcio di Gattuso è invece meccanico, prevede spartiti
Le parole di Gattuso
Nella conferenza stampa postpartita di Lazio-Napoli, il tecnico azzurro Gennaro Gattuso ha parlato così della sua squadra: «In questo momento non siamo una squadra pensante. Per tanti anni il Napoli è stata una squadra pensante. In questo momento, tante volte gli errori sono dovuti al fatto che dobbiamo pensare a tante cose. Dobbiamo pensare a lavorare di reparto, dobbiamo levare la profondità, dobbiamo accorciare, dobbiamo lavorare di catene. La mia richiesta in questo momento è diversa rispetto a quello che i calciatori hanno fatto per tanti mesi, per tante partite. Hanno giocato un calcio diverso. Fino a due anni fa si giocava un calcio pensante, un calcio in cui dovevi lavorare di catene, dovevi salire sempre, tenere la squadra in 20-25 metri. Il problema più grande in questo momento è che dobbiamo imparare a giocare e pensare».
Sono dichiarazioni riprese testualmente, per un confronto potete guardare il video inserito in questo articolo pubblicato da CalcioNews24. Ascoltare e riascoltare queste dichiarazioni ha un po’ spiazzato chi scrive, proprio per le scelte semantiche fatte da Gattuso. Il punto focale sta nell’aggettivo pensante, utilizzato a più riprese dall’allenatore del Napoli. Per cui il gioco del calcio, quindi il gioco del suo Napoli, deve essere fatto di distanze corte («la squadra in 20-25 metri»), nei reparti e tra i reparti («lavorare di reparto, dobbiamo accorciare, dobbiamo levare la profondità»), e di meccanismi collettivi e individuali studiati per blocchi di giocatori, le cosiddette “catene” («dobbiamo lavorare di catene»).
Gattuso e le parole
Secondo la visione di Gattuso, dunque, il Napoli non è – più – una squadra pensante in quanto è stata abituata, da Carlo Ancelotti («fino a due anni fa si giocava un calcio pensante»), a giocare in maniera diversa. Ecco, questa è una visione legittima per un professionista che ha tutta l’intenzione di accreditarsi, o meglio di dar credito al lavoro che sta portando avanti. Il pensiero di Gattuso potrebbe essere semplificato così: io credo che il calcio si giochi in questo modo, sono stato scelto e vengo pagato per portare avanti un progetto di un certo tipo, e allora dico che una squadra disabituata a certi meccanismi diventa non pensante.
È questo punto a non convincerci. Quantomeno, ci sembra eccessivo. Sembra eccessivo anche a chi scrive. Non amo utilizzare la prima persona negli articoli di questo spazio, però voglio sottolineare che proprio ieri ho scritto, sempre sul Napolista, un altro pezzo dal titolo “Le idee di Gattuso sembrano più adatte a questo Napoli”. Questo per dire: anche a me piace guardare un certo tipo di calcio, preferisco una squadra che cerca di imporre il proprio ritmo, il proprio contesto, le qualità dei migliori uomini che a disposizione.
Anche per me è evidente (da gennaio 2019 a oggi, in crescendo) come i giocatori del Napoli siano risultati più adatti a essere allenati e a giocare secondo dei meccanismi fissi. O meglio, secondo dei principi di gioco che determinano spaziature e movimenti e giocate precise, ben determinate. Anzi, predeterminate. In questo caso, trattasi di distanze ravvicinate, possesso palla, catene laterali. Insomma, una riedizione/riscrittura del gioco di Sarri – al netto delle differenze tra l’attuale tecnico della Juventus e Gattuso, di cui abbiamo parlato qui. In virtù di tutto questo, il progetto di Gattuso mi sembra coerente con sé stesso e con il contesto. Cioè, con ciò che chiedono i giocatori del Napoli.
Il calcio di Ancelotti
Al netto del possibile “attacco” di Gattuso ad Ancelotti, e dei motivi che potrebbero spingere il tecnico del Napoli ad attuare questa strategia dialettica (Massimiliano Gallo ne ha scritto qui), resta l’utilizzo del termine pensante. Un utilizzo che risulta improprio, per un motivo molto semplice: fin da quando è arrivato al Napoli, Carlo Ancelotti ha cercato di rendere completa la squadra azzurra dal punto di vista tattico. Un’intenzione confessata fin dai primi giorni del primo ritiro a Dimaro, a luglio 2018. Qui una testimonianza diretta, in un’intervista al Napolista rilasciata da suo figlio Davide. Cosa vuol dire “rendere completa” la squadra dal punto di vista tattico? Partendo dall’idea che i giocatori fossero molto forti e avessero anche grande conoscenza del gioco, la volontà era quella di dare al Napoli gli strumenti per dominare in maniera diversa le partite. Tutte le partite.
Oltre al pressing e al possesso palla, dunque, il Napoli di Ancelotti avrebbe dovuto padroneggiare altri meccanismi. Avrebbe dovuto saper soffrire, sul campo e nella testa, durante gare contro avversari fisicamente o tecnicamente più forti; avrebbe dovuto vincere le sfide contro gli avversari più deboli senza sprecare troppe energie; soprattutto, avrebbe dovuto/saputo cambiare atteggiamento tattico e mentale nel corso di una stessa partita. Questa è la definizione lunga del cosiddetto calcio liquido, per cui possono esistere ed esistono alcuni meccanismi e/o riferimenti fissi – per esempio il 4-4-2 in fase difensiva – ma ci sono anche tante altre variabili da poter studiare, conoscere, applicare.
Bisogna saper scegliere
In pratica, il Napoli avrebbe dovuto scegliere come giocare. Di partita in partita. Più volte nella stessa partita. In base al contesto. Senza andare fino alla scorsa stagione, si possono trovare degli esempi anche in questa. La partita col Liverpool e quella con il Lecce, consecutive, sono state vinte in maniera diversa. Spingendo al massimo contro i Reds – per intensità difensiva e ricerca di una strategia d’attacco studiata e attuata per sfruttare una falla della difesa avversaria –, gestendo la superiorità tecnico/tattica e i vari momenti del match al Via del Mare.
Più volte abbiamo scritto come questo progetto si sia rivelato sbagliato – perché troppo ambizioso – per il Napoli. Allo stesso modo, però, proprio in relazione alla sua volontà di essere selettivo, il calcio proposto da Ancelotti nei suoi due anni al Napoli non può essere considerato non pensante. Anzi, il fatto che i giocatori dovessero applicare oppure abbandonare certi strumenti tattici o tecnici li responsabilizzava. Li voleva pensanti. Al contrario, il gioco che ha in mente Gattuso è un gioco più meccanico, in cui i calciatori interpretano ciò che avviene intorno a loro ma intanto ragionano seguendo un certo spartito. Seguendo sempre un certo spartito. Questo li rende pensanti? Certo, ma in un modo diverso rispetto all’idea di Ancelotti. Li rende pensanti in un modo e in un mondo più ristretto. Che non vuol dire migliore o peggiore, vuol dire semplicemente più piccolo. Interno a un certo quadrato.
Conclusioni
A conti fatti, l’uscita di Gattuso assume più senso se contestualizzata all’interno della sua visione. Per lui il calcio è un gioco di dominio tecnico e tattico, e questo dominio si esercita con un sistema di gioco per principi. Anzi, per principi predefiniti. E allora i calciatori vanno allenati per essere pensanti rispetto a certi riferimenti. Una filosofia chiara, che anzi trova d’accordo anche chi scrive. Fino al momento in cui, però, non si banalizzano il pensiero e il lavoro altrui.
Non perché parliamo di Ancelotti, ma perché quel tipo di calcio esiste, ed esiste anche ad altissimi livelli. Non c’è bisogno di fare esempi citando altre squadre, non c’è bisogno di andare molto lontano. Anche il Napoli, proprio il Napoli, in alcune partite, ha dimostrato di saperlo/poterlo applicare con efficacia: le vittorie con il Liverpool e il Salisburgo, quelle contro Inter e Lazio nella scorsa stagione, oppure anche match come Napoli-Sampdoria 2-0, Lecce-Napoli 1-4, oppure Atalanta-Napoli 1-2 di un anno fa.
Alla lunga, questo approccio non ha convinto i calciatori e non ha portato risultati, ma in certe occasioni gli stessi calciatori hanno vinto anche giocando il calcio liquido. L’hanno fatto con merito, offrendo pure ottime prestazioni. Difficile, anzi impossibile riuscirci quando non pensi.