Riapre (quasi) dopo tre anni e la polemica è sui prezzi. Napoli vuole il welfare scandinavo a prezzi cubani mentre ci si fa belli col caffè sospeso
60 centesimi al giorno per avere a disposizione la pista nuova di zecca dello Stadio Collana, morbida e prestazionale. Gemella di quella dell’Olimpico di Roma dove corrono il Golden Gala. 20 euro al mese per correre dalle 7 del mattino alle 13. Tutti giorni, anche il sabato e la domenica. 90 euro (col semestrale un mese è scontato) in sei mesi per farsi la doccia dopo l’allenamento in uno spogliatoio fresco di ritinteggio. Per l’abbonamento full, senza limiti di orario, si spende 160 euro ogni sei mesi. Ci rimetteremmo a far di conto, ma insomma ci siamo capiti.
Siamo già alla polemica spicciola
Non ha ancora ri-aperto il Collana – ed è chiuso da oltre 3 anni! – e siamo già alla polemica spicciola. Che c’è crisi e deve essere spicciola pure quella. I prezzi sono troppo alti. Lo dicono davanti ad un caffè che pagano più di un ingresso giornaliero. Come se la scala di valori in ballo fosse quella striminzita del costo senza benefici. Avulsa da ogni contesto non solo di mercato ma anche di ambientazione sociale.
Preso il listino dell’atletica leggera, l’occhio cade immediatamente sul soldo. E fatichiamo a farcene una ragione senza apparire indecentemente snob. Non c’è mica la sorpresa di immaginare un impianto – l’unico ormai in città – dove fare running già alle 7 del mattino, magari prima di andare in ufficio. Un posto che non chiude quando l’Lsu ha il raffreddore, o cade un ramo in pista e il Comune ce lo lascia per settimane chiudendo tutto. Un posto al centro del Vomero. Che a forza di definirlo quartiere-bene s’è incartato fino a farsi clamorosamente del male da solo. Non c’è nemmeno il beneficio del dubbio, un credito che i napoletani non lasciano più a nessuno, mentre rincorrono la barzelletta felice del caffè sospeso. No. Aspettavano tutti al varco. E quando il varco s’è aperto (ma nemmeno ancora del tutto), non sono entrati: sono rimasti fuori a criticare. E’ lo sport cittadino. Evidentemente in mancanza di luoghi dove allenare altro.
E’ il papponismo che si moltiplica in altre forme
È il papponismo che si moltiplica in altre forme. E’ la traslazione dell’imperativo categorico della Curva a 10 euro allo sport sociale, quello di tutti i giorni. Vogliono il welfare scandinavo a prezzi cubani, simulando una realtà che non esiste se non nell’indignazione purchessia. Come se il Collana del passato non avesse mai chiuso, vittima collaterale della guerra Comune-Regione e dei pasticci burocratici conseguenti. Come se la stessa struttura che il lettore si diverte a ricordare nella sua inquietante fatiscenza, fosse invece un passato con cui fare i conti, una pietra di paragone. Se mai lo fosse stata, quella pietra è caduta da un pezzo assieme agli spalti, le palestre, e tutto il resto di un impianto lasciato al macero dall’incapacità dell’amministrazione di amministrare alcunché.
Ci abbiamo corso su quella pista ruminata dalle intemperie. Era rasa ad asfalto o poco meno. E siamo scappati dalle “escape room” dove anche il lettore tentava eroicamente di farsi la doccia. Abbiamo trovato i cancelli chiusi ad orari d’apertura, nell’elasticità di una non-gestione alla napoletana. E abbiamo testato i serrati controlli all’ingresso entrando a piacimento per mesi. Senza mai scalfire l’attenzione degli impiegati-a-fare-sempre-altro.
La vocazione pubblica è un non-argomento
La vocazione pubblica di cui tutti ci riempiamo la bocca a Napoli è un non-argomento. La vocazione pubblica ha prodotto una città che funziona solo in alcune sacche private. O grazie allo sperpero di incredibili risorse umane. Che si spendono quotidianamente per far vivere un tessuto sociale decente anche a chi il privato non può permetterselo. La vocazione pubblica ha chiuso il Collana per tre anni, deviando il malumore dello sportivo amatoriale su altre questioni, che a Napoli non mancano mai. Ce n’è a iosa.
Una vicenda giudiziaria ancora inestricata
Di più, la nettezza del giudizio morale sulla polemica pubblico-privato presupporrebbe un’idea chiara su una vicenda giudiziaria ancora inestricata. Il garbuglio di ineguagliabili storture che ha portato all’assegnazione dell’impianto alla Giano, e alla riapertura in mezzo ad una faida di carte bollate e minacce di sigilli, è tutt’altro che risolto.
Per cui la contesa resta sul principio, e solo su quello. Il Collana è di tutti, e tutti lo vorrebbero nuovo, bello ed efficiente. Lo vorrebbero perfettamente manutenuto, durevole nel tempo, magari migliorato nel corso del prossimo futuro. E lo vorrebbero a prezzi sociali, sostenuti non si sa bene da chi o da che cosa. Dalla Giano? Dalla Regione? O da quel Comune che ne reclama l’affidamento e che tiene chiusi i parchi cittadini lamentando di essere sul lastrico un giorno sì e l’altro pure?
Fanno polemica mentre rincorrono il personal trainer
Dicono che il mensile per usufruire della pista costa come un abbonamento in palestra o in piscina, che hanno costi di gestione corrente molto più alti. Senza considerare che un abbonamento full time – 7 giorni su 7 – in una qualunque palestra o piscina della città non costa 40 euro al mese. E lo dicono mentre rincorrono il personal trainer, eroe mitologico deputato a smaltire gli struffoli dalla ciccia altrui.
Poi, magari, potremmo anche decidere di parametrare l’offerta alla domanda, come si fa nei posti seri. Quanti iscritti farà il nuovo Collana, al centro di un quartiere sovrappopolato e mediamente molto abbiente in perenne carenza di spazi per lo sport? Quanti biglietti vendeva De Laurentiis quando gli ultras protestavano per le curve a 40 euro per la partite di Champions?
Il vizio di forma
C’è un vizio di forma che avvelena tutto il dibattito. In una città viva e sana – basta andare a Milano, non c’è bisogno di finire a Copenaghen – la polemica sarebbe spenta alla miccia. Esistono le strutture pubbliche, gli incentivi per le fasce di reddito basso, le strutture private convenzionate, le palestre di elite per i ricchi che gli struffoli se li fanno portare a casa direttamente dal personal trainer. C’è la vocazione pubblica, e quella privata, e funzionano in sincronia, più o meno.
Napoli, la Svizzera, tutto uguale
Napoli non è “unica” solo quando ci vantiamo dinanzi al mondo del benedetto panorama, e delle fermate artistiche della metro che poi non passa mai. Napoli è unica soprattutto per tutte le negazioni quotidiane che ci impone. Nello svilimento della qualità della vita e nel lavaggio del cervello che digerisce 3 anni senza Collana e che ci fa sobbalzare quando riapre a 40 euro al mese. Napoli, la Svizzera, tutto uguale davanti al caffè. Sospeso, ovviamente.