La sua storia su Repubblica. Adottato da maggiorenne, deve aspettare tre anni per chiedere il permesso di soggiorno. Nel frattempo non può godere dei diritti civili e nemmeno vincere una gara di corsa

Su Repubblica il caso di Bakary Pozzi Dandio, giovane senegalese adottato da una famiglia di Melegnano. Qualcuno, in questo comune dell’hinterland milanese governato da una giunta di centrosinistra, e che ha appena concesso la cittadinanza onoraria a Liliana Segre, ha pensato bene, un anno fa, di scrivere nell’androne di casa sua, “ammazza el negar”.
Il ragazzo ha 23 anni. E’ arrivato in Italia minorenne, su un barcone, poi, al compimento della maggiore età, è stato adottato dalla famiglia Pozzi. Per la legge italiana potrà fare domanda di cittadinanza solo tra tre anni, come spiega il padre Paolo.
Studia per diventare idraulico e si allena tutti i giorni tranne la domenica nei 400 metri. Hagià vinto una gara nel campionato Csi e, l’estate scorsa, di nuovo, a Bergamo, come tesserato del Cus Pro Patria Milano, che fa parte della Fidal. Ha corso in 48”05 ma non ha potuto essere premiato, perché per i giudici di gara non è italiano.
Sul quotidiano le parole del padre, Paolo Pozzi:
«Naturalmente non ce l’ho con la società, ma è stata una cosa antipatica. Lui ha detto “non me ne frega niente”, ma non è vero. A me invece frega moltissimo. Pensavamo di essere a posto, con l’adozione. È nel mio stato di famiglia, ha la residenza, ha il nostro cognome. La carta d’identità, la tessera sanitaria della Regione Lombardia. È nostro figlio. È italiano».
Ma non per tutti. Così la famiglia è andata al consolato senegalese a Milano, per ottenere il permesso di soggiorno.
«Dobbiamo chiedere il passaporto, e un documento che attesti che Bakary Dandio e Bakary Pozzi Dandio sono la stessa persona, e credo che sarà un’avventura. Nel frattempo non può godere in maniera piena dei diritti civili. Non può votare, ad esempio. Non può vincere una gara, portare punteggio alla sua società».
Il ragazzo continua a chiedere se i documenti sono a posto, scrive il quotidiano, come fa anche la madre senegalese, con la quale i Pozzi sono in contatto.
La mamma adottiva, Angela Bedoni, dichiara:
«I decreti sicurezza hanno messo in strada un sacco di persone. Gli Sprar funzionavano, ma sono stati cancellati. Sono rimasti senza lavoro anche psicologi, medici, operatori, mediatori, assistenti sociali, qui come in tutta Italia. Non è questione di «regalare la cittadinanza, come dicono alcuni politici di destra. Peraltro, non è affatto regalata. Ma bisogna riconoscerla a chi ha un inserimento sociale effettivo, perché è il riconoscimento della dignità. Sennò, condanni un sacco di persone a vivere in un limbo senza nome. Loro, e anche chi li aiuta».
All’epoca della comparsa della scritta razzista sul portone dei Pozzi, in paese ci fu una grande manifestazione di solidarietà ma dopo qualche mese altre scritte sono apparse sotto casa di un’altra famiglia ghanese. Il razzista anonimo li definiva “negri” e “animali”.
Racconta Pozzi:
«Lui è un operaio specializzato, è in Italia da anni con permesso di soggiorno, ha moglie e tre bambini. Totale indifferenza, a parte il sindaco, che ha condannato il gesto. Noi siamo andati a trovarli, gli abbiamo detto che ci dispiaceva. Ma nel loro condominio, nessuno ha detto beh».