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Barbano: non mettendosi in discussione, l’Aia e si mostra fragile e di parte

Sul CorSport. Regole incerte e sbagliate e mancanza di uniformità di giudizio da parte degli arbitri. Occorre essere più autorevoli per apparire più indipendenti

Sul Corriere dello Sport Alessandro Barbano scrive delle polemiche post Juventus-Fiorentina, per il rigore concesso ai bianconeri tanto contestato dopo la partita.

Il paradosso, scrive, è che la Var non aiuta l’arbitro.

“L’occhio elettronico, con la sua capacità di riprodurre l’intera sequenza del contatto, non offre a quello umano più aiuto di quanto non avrebbe fatto l’istinto del vecchio arbitro, costretto ad elaborare il fotogramma nella memoria, e a scommettere”.

Occorre definire meglio i confini di responsabilità tra chi dirige in campo e chi è al monitor, scrive. Che tutti gli arbitri applichino le regole allo stesso modo. E che venga praticata una formazione costante, soprattutto a livello teorico.

“E poi accettare che si possa sbagliare, come forse è accaduto all’Allianz Stadium”.

La professionalità, continua, non si vede.

“La casistica contraddice il principio di prevedibilità, per cui dovrebbe essere noto in anticipo a chi scende in campo che cosa è lecito e che cosa no, che cosa è fallo e che cosa è legittima difesa della palla, quando il controllo dell’immagine è dovuto e quando no”.

Invece tutto dipende dall’arbitro. Con Pairetto può capitare di veder sventolare 8 gialli e un rosso in una partita in cui sono stati fischiati solo 25 falli. Con Orsato sarà tutta un’altra gara, come se fosse Premier League, “dove si fischia solo se proprio è necessario”.

“È plausibile una varianza interpretativa così ampia? E soprattutto, ci si può stupire o indignare, come ha fatto ieri il presidente degli arbitri Marcello Nicchi, se i calciatori, i tecnici e i club non se ne fanno una ragione?”.

Di fronte a tutto questo, l’Aia “annaspa”.

“Rivela fragilità e ritardo culturale, presentandosi come una corporazione autocratica, incapace di mettersi in discussione. Si barrica dietro una prassi interpretativa fondata sull’esperienza, tradotta verbalmente in criteri tratti da casi specifici e non riconducibili a principi generali. E così soccombe all’impatto con la tecnologia digitale e alle contraddizioni di un regolamento riformato male dal board internazionale”.

Soprattutto, presta il fianco alle accuse.

“Ma soprattutto non sfugge alle accuse di pressioni e condizionamenti dei poteri forti, che da sempre si levano di fronte ai presunti torti arbitrali”.

C’è solo un modo per fermare questa deriva.

“Essere più autorevoli. Per apparire più indipendenti”.

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