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Che stupore che “Parasite” ha vinto ben 4 oscar

Nell’anno in cui si celebra politicamente il trionfo del sovranismo americano più bieco la parte migliore dell’industria statunitense decide questi premi che ribaltano l’assioma americano: “this is not America, this is Kakfa”

Che stupore che “Parasite” ha vinto ben 4 oscar

Costituisce motivo di profondo stupore per chi scrive il dato che “Parasite” del regista sudcoreano Bong Joon-ho sia stato insignito quest’anno di quattro Oscar dall’Academy: miglior film in assoluto, miglior film straniero, migliore regia, migliore sceneggiatura originale.

Nell’anno in cui si celebra politicamente il trionfo del sovranismo americano più bieco la parte migliore dell’industria statunitense decide questi premi che ribaltano l’assioma americano: “this is not America, this is Kakfa”. Una famiglia tipica sudcoreana – i Kim – vive in un seminterrato lurido e puzzolente campando di reddito di cittadinanza e di espedienti. Si confrontano con la stringente necessità: il padre Kim Ki-taek (Song Kang-ho) è un autista licenziato, la madre Chung-sook (Chang Hyae-jin) è un ex lanciatrice del disco: il figlio maschio, pur non frequentando l’università, Ki-woo (Choi Woo-shik), eccelle nella conoscenza della lingua inglese, mentre la figlia Ki-jung (Park So-dam), pur essendo stata estromessa dall’Accademia, ha notevoli capacità artistiche. Tramite un suo amico Ki-woo riesce ad ottenere un tutoraggio di inglese per una ragazza liceale della ricca famiglia Park, Da-hye (Jung Ziso). Con stratagemmi l’intera famiglia riesce ad inserirsi come lavorante: Ki-taek come autista, la madre Chung-sook come governante, la figlia Ki-jung come insegnante artistica del figlio iperattivo Da-song (Jung Hyeon-jun). Sembra che i Kim abbiano risolto il loro problema di sussistenza ma un accadimento innocuo li porta alla conoscenza di nuove realtà sotterranee che li rimena nella lotta per la sopravvivenza.

Il disconoscimento della società degli esclusi – parasites? – sudcoreana, consente al regista Bong Joon-ho – vincitore quest’anno anche a “Cannes” – di disvelare i terribili effetti della inumana divaricazione economico-sociale del capitalismo del suo Paese. I ricchi sempre più ricchi riconoscono i sottoproletari dal “sentore di ravanelli o di panni sporchi”. Chi non ha reddito vive in cantine senza sole o murato vivo nei bunker antiatomici fatti costruire per difendersi dall’attacco de comunisti della Corea del Nord. Una divisione per caste che permarrebbe in un sistema capitalistico occidentale e che dovrebbe costituire un monito per la nostra attuale società capitalistica. Un film – “Parasite” – caustico, umano, poetico, laido, violento, ironico: una vera icona del capitalismo del XXI° secolo. Come si esce da questo stato di cose? Per ora con il sogno.

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