Si dice sempre che la squadra ha bisogno dei tifosi. Domenica ero io ad aver bisogno della squadra eppure non me la sono ritrovata
In queste ore ho pensato di ribaltare una teoria. Si tratta di una questione molto semplice e il capovolgerla potrà anche sembrare un gioco, ma andiamo per ordine. Molto spesso accade – e quante volte è capitato a ogni tifoso – di sentire i calciatori (o gli allenatori) della propria squadra, nei momenti di difficoltà pronunciare frasi come: “Sono giorni difficili, abbiamo bisogno di sentire i tifosi vicini”, “Che i tifosi si stringano intorno alla squadra”, “Ci aspettiamo molta gente allo stadio, abbiamo bisogno della nostra gente”. Quante volte abbiamo sentito queste frasi? E quante di quelle volte ci siamo convinti dicendoci cose come “Il vero tifoso si vede nei brutti periodi” e poi ci siamo precipitati allo stadio. Noi ci siamo, evviva, risorgiamo insieme. Bene, benissimo.
Ma che succede quando i tifosi passano un periodo complicato? Quando uno in particolare avrebbe bisogno che la propria squadra del cuore gli conceda un paio d’ore di sollievo? Non succede niente, ve lo dico io.
Prendete me, ho avuto giornate difficili, e ancora ne sto avendo, una decina di giorni fa è scomparso mio padre (posso citarlo qui perché grande tifoso del Napoli, e quando uno negli articoli è citato da vivo lo si può continuare a citare anche dopo, sempre tifoso è), l’ultima conversazione che avevamo avuto riguarda le ipotesi sulla semifinale di Coppa Italia, ipotesi che non hanno più alcun valore.
Ieri pomeriggio mi pongo rispetto alla partita in maniera tranquilla, mi aspetto che il Napoli vinca e spero di passare un’ora e mezza piacevole. In questi giorni sono stanco, guardare una partita con del buon caffè e un dolce è come farsi una coccola. Saranno paccheri, sarà il resto, sarà una domenica rovinata.
Era domenica, ho chiesto alla squadra di stare vicino al tifoso triste, abbacchiato, giù di morale. La squadra se ne è fregata, ne prendo atto, magari mercoledì me ne vado al cinema, al massimo là perdo solo il prezzo del biglietto.
La stagione del Napoli di quest’anno mi fa venire in mente una frase dello scrittore americano Sam Lipsyte che recita: “Ci toccherà mangiare gelato e ci toccherà mangiare merda, il trucco è usare due cucchiaini diversi” (da Chiedi e ti sarà tolto minimum fax, trad. Anna Mioni). Io li ho i due cucchiaini, più merda che gelato, mi viene da dire. L’aspetto più interessante riguarda l’essere costretti a mangiare, il tifoso non ha scelta, il cucchiaino lo prenderà tutte le settimane. Domenica avrei gradito un po’ di gelato.
In un quaderno di appunti di mio padre, con mia sorella, aprendo una pagina a caso, leggiamo: “Il Napoli ha perso 3 a 0 a Firenze. Peccato, fino al pomeriggio, era stata una splendida domenica”. Era un uomo che sapeva ricondurre le cose all’essenza, non ha appuntato né alberghi, né campionati perduti. Ha scelto di annotare il fatto che la partita (qualunque fosse) avesse rovinato soltanto la domenica.
Quello che provo a fare da sempre è riportare le partite a casa, cioè al campo, a quello che avviene in quei novanta minuti. Ho imparato la lezione di mio padre, a quanto pare. Tengo i due cucchiaini a portata di mano, fino a maggio sarà difficile sapere prima dover usare.
Mi è piaciuto molto guardare il San Paolo pieno di gente sotto il bel sole di febbraio, poteva essere una bella domenica.