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Sarri, le Poste e la repubblica del “gnegné”: ci offendiamo per qualsiasi cosa

La riposta piccata di Poste Italiane è finita persino sulla BBC. Così è cresciuta negli anni quella letteratura del nulla che sono le dichiarazioni dei calciatori

Sarri, le Poste e la repubblica del “gnegné”: ci offendiamo per qualsiasi cosa

«Se non volevo essere sotto esame facevo domanda alle poste». Lui che lavorava in banca, ha scelto le Poste come metafora del lavoro abitudinario, senza pressioni, il “posto fisso”. Il posto in banca, o alle Poste, appunto, in un mondo figurato, che non c’è più. Quella di Maurizio Sarri era una battuta, un modo spiccio per scrollarsi di dosso Guardiola, Allegri, i retroscena delle cene con Agnelli, e i tormentoni della crisi, un classico. Solo che poi le Poste hanno risposto. Con un comunicato a mezzo social, che immediatamente s’è prestato all’ironia generale: hanno risposto su Twitter, perché una raccomandata  sarebbe arrivata a Pasqua.

Ma soprattutto il tono serioso e piccato della “più grande azienda del Paese” non ha passato indenne il giudizio pubblico. Il comunicato è finito sulla Bbc, proprio per la polemica intrinseca alla replica. E magari era questo il gol dell’ufficio stampa di Poste. S’è trasformato in autogol dopo pochi minuti di centrifuga social. Perché la “netiquette” corrente impone la gestione dell’ironia, anche forzata. Si offende ma non ci si può offendere. E’ una tattica a senso unico: all’attacco costante, anche e soprattutto se poi uno prova a difendersi. Ma è una dinamica ormai scontata, che i professionisti del settore conoscono molto bene. Ed è paradossale che proprio la rete, il brodo nel quale cuoce l’indignazione puntuale su tutto e il contrario di tutto, faccia notare lo sfondone strategico di Poste Italiane. Perché siamo stanchi – o almeno ce lo diciamo mentre reiteriamo sempre gli stessi atteggiamenti – di vivere appesi al giudizio altrui.

Per cui se a fare “gnegné” è un’azienda che si “colloca al terzo posto, a livello mondiale, tra le aziende italiane per immagine e reputazione”, l’immagine e la reputazione finiscono svilite anche solo dal gancio: la conferenza stampa dell’allenatore di una squadra di calcio, ovvero il festival della metafora, del linguaggio figurato, a volte un po’ faticoso, del giro di parole, della “zeppata” scanzonata. Sarebbe bastata una battuta di rimbalzo, veloce, divertita, per cavalcare quel quarto d’ora di pubblicità gratuita, senza invece passare per quelli autocompiaciuti e permalosi: “pesanti”.

Invece no. Lo screzietto da sue soldi rilanciato persino dalla più importante testata giornalistica inglese è la dimostrazione che ormai non si può più dire niente, davvero. C’è sempre lì qualcuno che se la prende: una categoria, una minoranza, una maggioranza, una grande azienda, un settore intero o un’assemblea di condominio. Sminuendo nella generica folla di “offesi” le voci di quelli che qualche titolo per restarci male ce l’avrebbero pure.

Così è cresciuta negli anni quella letteratura del nulla che sono le dichiarazioni dei calciatori, quel linguaggio piatto e impastato che impone di non dire mai niente, di sforzarsi di annoiare. Ogni tanto c’è qualcuno che sa muoversi al contrario, e guadagnare appeal sfruttando il grigiore di contorno, tipo Mourinho. Ma se un minimo accenno al più trito dei luoghi comuni – il posto fisso alle Poste, in banca – scatena l’immediata reazione di una società che non può farla passare liscia a nessuno, perché è quotata in borsa e quindi “come si permette Sarri”… il passo successivo non può che essere un dignitoso silenzio. Zitti, tutti. E solo i moralisti a parlare. Che palle, diremmo, se nessuno se la prende a male.

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