A Repubblica: «Adesso arrivano con polmoniti gravi, 60-80 al giorno. Da fuori non è chiara la gravità della situazione nei nostri ospedali, non oso immaginare cosa potrebbe accadere al Sud»
C’è un fenomeno inspiegabile nei quotidiani. Dedicano giustamente molte pagine all’emergenza coronavirus. Ma le prime sono tutte politiche. I provvedimenti del Governo, le questioni del Parlamento (guanti, amuchina), le decisioni dell’Oms. Solo dopo molte pagine si arriva al cuore della questione: quel che sta avvenendo negli ospedali del Nord. Spesso con interviste e servizi bellissimi e interessantissimi che non trovano spazio in prima pagina.
È il caso dell’odierna intervista – tanto interessante quanto inquietante – a pagina 10 di Repubblica. Il cronista Visetti – applausi – intervista Roberto Cosentini, milanese, 60 anni, presentato come “primario della medicina d’urgenza dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e dirige il centro Emergenza di alta specializzazione (Eas), all’avanguardia in Italia nello studio della ventilazione non invasiva”.
Se siete soggetti impressionabili, non leggete.
«Il problema è che la dinamica innescata dal coronavirus è già cambiata. Adesso arrivano nel mio ospedale 60-80 contagiati al giorno. Sempre di più, ma in particolare tutti insieme, tutti gravi, di ogni età e fino a prima del contagio sani e forti. Se questa ondata nuova non cala, il sistema sanitario va verso il collasso: innescato da quella che possiamo paragonare ad una catastrofe naturale».
«Nei primi giorni del contagio, gli infetti erano spalmati lungo tutta la giornata e si presentavano con febbri leggere e bronchiti modeste. Adesso seguono il picco febbrile del pomeriggio e arrivano già con polmoniti gravi, che richiedono terapie intensive e respirazione assistita. Ogni giorno tre le 16 e le 18 arriva una scossa, ossia un’ondata di urgenze concentrate. Una situazione simile si verifica solo durante i terremoti: questa volta però siamo alla terza settimana e non si vede la fine».
«I primi ad essere aggrediti dal virus sono stati gli anziani con una somma di patologie. Adesso il contagio attacca anche i giovani e i più sani, quelli che hanno resistito a casa più a lungo, curandosi con i farmaci conosciuti. Non siamo più alle influenze leggere, questa è l’ora delle polmoniti più gravi».
«In una polmonite normale, i pazienti si sfebbrano nel giro di tre o quattro giorni. In quella da Covid-19 siamo in media tra otto e dieci giorni. In terapia intensiva i letti dei contagiati restano occupati il triplo, un tempo senza precedenti. Dobbiamo accelerare ancora la creazione di posti letto: il rischio è non poter più accogliere e curare chi rischia la vita».
«Dividiamo i contagiati in tre categorie: gli intubati, quelli che hanno bisogno di una ventilazione sub-intensiva e i pazienti meno gravi. Queste tre categorie vanno ridistribuite in strutture diverse».
«Soluzioni? Se penso a Bergamo, a Milano e alle zone più colpite del Nord, da Piacenza a Cremona, si devono liberare subito spazi per le terapie sub-acute. Non bastano le strutture private e gli ospedali militari: vanno liberate e riorganizzate le case per anziani, o i centri che accolgono i non autosufficienti. Forse all’esterno non sono ancora chiare le quantità di contagiati che si stanno accumulando dentro gli ospedali. Mi preoccupa molto il pensiero di un simile scenario trasferito presto in altre regioni del Paese, in particolare al Sud».