Quello di oggi è in realtà il quadro di 72 ore fa. I laboratori non ce la fanno a tenere il ritmo. Al San Paolo, aperto da due giorni, mancano personale e reagenti
Oggi la Campania ha registrato 23 nuovi casi di Covid-19. Ma “oggi” non è davvero… oggi. I dati che l’unità di crisi della Regione Campania condivide nel bollettino quotidiano, come la Protezione civile su scala nazionale, sono quelli di tre giorni fa. È questo il ritardo medio accumulato finora dall’Ospedale Cotugno di Napoli, il principale centro di raccolta dei test per il coronavirus della regione. Se oggi ci rallegriamo per le cifre ancora basse dell’emergenza locale, o cominciamo a preoccuparcene, lo facciamo ignorando che nel frattempo la situazione potrebbe essere già cambiata notevolmente. Uno strambo effetto tuono: vediamo il fulmine in lontananza, ma la botta arriva poi.
Il ritardo è dovuto ad un ingolfamento dei laboratori di cui la popolazione non ha – non ancora, almeno – percezione. In molti quartieri la gente è in strada e continua a fare la stessa vita promiscua di prima, magari con una mascherina sul volto per mettersi l’anima in pace. Contando sul fatto che la crisi è ancora lontana, “sta al nord”, qui no, non ancora. Quando invece la risposta sanitaria della Campania ha già cominciato a incepparsi, ancora prima dei tanto preannunciati “picchi”.
Il perché va spiegato. I tamponi da esaminare arrivano nei centri abilitati ad effettuare i test – il Cotugno su tutti – in tre modi: dagli altri ospedali che hanno casi di probabile infezione (che in teoria dovrebbe avere la precedenza), anche tra gli stessi operatori sanitari; tramite il 118; per via diretta, con il cittadino che avverte i sintomi e si reca al Cotugno per farsi visitare ed eventualmente farsi esaminare. Oltre a questo oceano di test che si abbatte a ondate sempre crescenti ogni giorno, vanno sommati i test che vanno ripetuti sugli stessi soggetti, anche se negativi: i tamponi di controllo, che per gli asintomatici che hanno avuto contatti con un positivo vanno ripetuti a 14 giorni, e che per i sintomatici vanno rifatti dopo 48 ore. La mole, di cui al di fuori degli ospedali si ha poca contezza, è enorme. Sono centinaia, ogni giorno.
Oggi, per esempio, il centro dell’Ospedale San Paolo, aperto da appena due giorni per tentare di sgravare il Cotugno, ha lavorato a singhiozzo per la mancanza di personale e di reagenti. Ormai i tempi di attesa anche per il personale medico a rischio contagio sono superiori alle 48 ore. E per disposizioni della stessa Regione Campania, i medici e gli infermieri in attesa del referto devono continuare a lavorare, spesso con dispositivi non idonei di protezione.
Un piccolo capitolo a parte – ma esemplificativo della tenuta del sistema in condizioni ritenute ancora sostenibili – è quello relativo al 118. In teoria la trafila per l’ammalato che pensa di avere sintomi da Covid-19 prevede un consulto col medico di base, il quale avverte l’Asl che deve poi predisporre l’invio di un’ambulanza presso il paziente per sottoporlo al tampone, e trasportare poi il test al Cotugno. In pratica, il numero dei tamponi pervenuti in laboratori in questo modo è risibile. Semplicemente perché non ci sono ambulanze a sufficienza, e attrezzate per poter fare il test in sicurezza e trasportarlo al laboratorio. Quindi, semplicemente, non si fa. L’ammalato è costretto ad andare con mezzi propri al Cotugno e a mettersi in fila per il triage, con code che arrivano anche a due o tre ore. Attese che molti affrontano con la febbre alta, in condizioni che mettono a rischio contagio se stessi e gli altri.
In un momento in cui il dibattito nazionale è sull’opportunità di estendere lo screening alla popolazione, in massa, questa è la situazione in Campana, ad oggi… cioè a tre giorni fa.