Sul Corriere Milano i dialoghi whatsapp tra i sanitari degli ospedali milanesi. Non si lavora in sicurezza, perché le attrezzature scarseggiano e il personale teme di essere potenzialmente fonte di contagio per i pazienti
Sul Corriere Milano la chat dei medici che operano negli ospedali di Lecco e Merate, in Lombardia.
«Io ho già fatto un turno nella polveriera, ma non va bene, così non va bene. Noi potenzialmente tutti positivi e fonte di contagio per altri».
«Non parlo da coniglio né da infame, ma temo che se ci stiamo contagiando tra di noi è perché non lavoriamo in sicurezza».
Sono 119 i contagiati, tra medici, infermieri e operatori. Ovvio che nella chat interna ci si scambino messaggi di paura e anche disposizioni. Come quelle che indicano di non utilizzare camici rinforzati se non si entra nelle camere dei contagiati, perché ce ne sono pochi e si rischia che chi opera sul paziente ne resti privo. Indicazione a cui un medico risponde:
«I dispositivi sono necessari altrimenti saranno gli operatori sanitari a pagare il maggiore tributo».
I sindacati chiedono incontri urgenti con gli ospedali e si chiedono come mai ci siano tanti contagi tra i sanitari.
«Sono i protocolli di gestione? Oppure la mancanza di dispositivi di protezione individuali? Tutto questo sta cagionando ai dipendenti un fortissimo stress, il timore di poter infettare sé stessi e i propri famigliari».
A loro risponde il direttore generale dell’Asst di Lecco, Paolo Favini.
«Gli operatori sanitari sono i più esposti, ma la percentuale dei casi positivi è del 5,17%: 1.800 infermieri, 500 medici, 119 infetti nei presidi lecchesi. Non c’è alcun cluster. I dispositivi in dotazione al personale sono a norma Oms e Regione Lombardia e ad oggi erogati in numero adeguato. Qualcuno si è lamentato per l’uso delle mascherine chirurgiche? Quelle Fp2 e Fp3 sono per gli operatori più a rischio, come chi deve intubare i pazienti. Tutti hanno avuto i camici rinforzati, e dove non è stato possibile abbiamo fornito quelli idrorepellenti suggerendo di indossarne tre alla volta».