Col Torino siamo entrati nella terza fase del progetto-Gattuso. Ora il Napoli ora è una squadra che ha una sua identità, che subisce poco, che sa rimanere compatta
Un percorso che prosegue
La sfida contro il Torino potrebbe essere ricordata come una partita centrale nel racconto futuro dell’avventura di Gattuso a Napoli. Per un motivo semplice: ieri sera gli azzurri hanno giocato esattamente come vuole (vorrebbe) l’allenatore calabrese. Che, come abbiamo scritto su questo sito, non è un tecnico-motivatore, piuttosto un teorico del possesso palla, del gioco dominante; nella primissima fase della sua esperienza a Napoli, ha provato ad applicare la sua filosofia ideale, a far giocare Insigne e compagni in maniera ambiziosa. Poi però ha annusato l’aria che tirava, ha fatto marcia indietro e ha deciso di riordinare la squadra e le sue idee partendo dalla ricerca dell’equilibrio. E allora ha progettato e fatto attuare un sistema di gioco accorto per non dire difensivo, nel frattempo studiava come poter alzare ritmi e qualità in attacco senza sbilanciare troppo l’assetto.
Napoli-Torino ci ha detto che siamo entrati nella terza fase del progetto-Gattuso. Dopo il consolidamento, è arrivata una nuova ventata di ambizione. Ovvero, il Napoli ora è una squadra che ha una sua identità, che subisce poco, che sa rimanere compatta e non ama scoprirsi, ma che riesce anche ad avere una buona resa in fase offensiva. Partite come quella contro il Torino servono per cementare queste certezze. Attraverso i risultati, ma anche grazie alle prestazioni.
È andata proprio così, i numeri sono chiari e dicono che la squadra di Gattuso ha dominato il Torino ben oltre il punteggio risicato del tabellino. Una lettura veloce: 18 tiri contro 7; 6 conclusioni in porta contro 2; possesso palla del 65% per il Napoli. E poi 13 occasioni da gol costruite su azione manovrata, addirittura 10 conclusioni dall’interno dell’area di rigore, 4 interventi decisivi di Sirigu. Vediamo come si sono originate certe cifre, come si è svolta la partita dal punto di vista tattico.
Il solito Napoli (o forse no)
Per far riposare alcuni uomini dopo il Barcellona, ma anche in vista della semifinale di ritorno in Coppa Italia, Gattuso ha operato quattro cambi nell’undici titolare. Uomo per uomo, ruolo per ruolo: Hysaj per Mario Rui, Lobotka per Demme, Politano per Callejón e Milik per Mertens. Nonostante queste modifiche, si è percepita una certa coerenza nel modo di approcciare il gioco: possesso ricercato fin dai primissimi appoggi, con Lobotka perno centrale davanti alla difesa a quattro (che resta a quattro in fase di costruzione), poi immediata apertura sugli esterni. Proprio in relazione a quest’ultimo aspetto, i dati sottolineano come la squadra di Gattuso abbia costruito il 77% delle sue azioni sulle corsie laterali. La novità (ma non è l’unica) è che non si è passato solo dal lato di Insigne, anzi il bilanciamento è in sostanziale parità (39% a destra, 38% a destra).
Il Napoli in fase di costruzione da dietro: i terzini restano larghi ma abbastanza vicini ai centrali, Lobotka retrocede come “muro” per lo scambio ravvicinato. La novità sta nel supporto di Fabián Ruiz, che offre un’ulteriore linea di passaggio.
Un’altra piccola variazione si percepisce dal frame in alto – e in qualche modo è collegata anche al dato sull’utilizzo della fascia destra. Il ritorno di Fabián Ruiz a una condizione (più che) accettabile e le sue enormi qualità lo stanno portando sempre più al centro del Napoli di Gattuso. Molto spesso è stato proprio l’andaluso a ricevere il pallone e iniziare l’azione, come se si determinasse una sorta di centrocampo a due con Lobotka. Lo slovacco ha caratteristiche diverse rispetto a Demme, ha maggiore tecnica e quindi tende a portare di più il pallone, proprio come Fabián. Allora i due si sono alternati alla regia, anzi a fine partita è lo spagnolo ad aver giocato più palloni (esattamente) 100, anche in proporzione: Lobotka, infatti, si è fermato a 77 tocchi in 80 minuti di gioco.
Certo, su questi numeri incidono due aspetti contingenti: l’assoluta mancanza di pressing del Torino, una squadra sfiduciata e che sembra praticamente priva di meccanismi per la riconquista della palla; e soprattutto l’assenza di Mario Rui, che ha portato il Napoli a non forzare il possesso palla sulla sinistra. In realtà non è eccessivo, anzi è molto plausibile che sia andata in maniera esattamente contraria: Gattuso ha preparato la partita per giocare su entrambe le fasce proprio in relazione al fatto che il terzino portoghese non sarebbe stato in campo, e quindi Insigne non avrebbe potuto ricevere una gran quantità di passaggi e/o avrebbe dovuto giocare a due con Hysaj – non propriamente un terzino raffinato in fase di possesso palla.
Situazione di attacco posizionale a destra, e ci sono diversi interscambi nello schieramento del Napoli. Da destra a sinistra, Insigne, Milik e Zielinski compongojno il tridente. Di Lorenzo è molto alto, e riceve il pallone da Lobotka in posizione di mezzala destra; Politano è nel centrosinistra, Fabián Ruiz si muove da vertice avanzato del triangolo ideale di centrocampo.
Il Napoli, dunque, non ha alterato i suoi principi, la sua identità, piuttosto ha integrato delle nuove soluzioni di gioco per adattarsi al contesto. Anzi, per sfruttare al meglio delle condizioni esterne a sé. Ecco allora lo spostamento verso destra, il maggior coinvolgimento di Fabián Ruiz (la mezzala di parte) nella costruzione del gioco, l’utilizzo di Politano, un esterno più creativo rispetto a Callejón, sempre da quel lato. Alcune di queste dinamiche nuove si vedono nel frame appena sopra.
I ritmi alti, Milik e Mertens
Il Napoli si sta evolvendo. Molto più di quanto non si veda, molto più di quanto racconti la (presunta, tra l’altro) staticità del modulo e delle formazioni iniziali. Il segnale più importante arrivato da Napoli-Torino, come già accennato, riguarda la (nuova) capacità degli azzurri di tenere i ritmi alti senza perdere equilibrio tra attacco e difesa. Come mostrano i dati della grafica in basso, il Napoli si è schierato con un baricentro molto avanzato. Ed è pure riuscito a rimanere corto e compatto, sull’asse orizzontale come su quello verticale.
Napoli-Torino: distanze e posizionamento in campo della squadra azzurra a cavallo delle due frazioni di gioco.
Con distanze così brevi, è (più) facile muovere il pallone ad alta frequenza, e recuperarlo in avanti. Il Napoli ci è riuscito soprattutto nel primo tempo e nella prima parte della ripresa, poi la stanchezza ha portato a un inevitabile allungamento della squadra sul campo. A questo punto, Gattuso ha deciso di inserire Mertens al posto di Milik. Come succede sempre nel calcio, i giocatori determinano il modo di giocare di una squadra, non tanto nei principi e nell’identità quanto nelle scelte individuali.
Se il centravanti polacco, fin quando è rimasto in campo, ha garantito presenza in area (5 tiri e 5 duelli aerei) e pure una buona qualità nello smistamento quando è stato chiamato a legare la manovra (34 palloni giocati con una precisione del 90%), Mertens ha velocizzato e variato maggiormente le azioni, con i suoi tocchi rapidi, i suoi movimenti ad aprirsi verso le fasce, la sua fantasia. Il gol di Di Lorenzo nasce dopo un’azione da palla inattiva, ma va fatto risalire alle caratteristiche del belga, alla sua mobilità, alla sua capacità di lettura del gioco. E alla sensibilità del suo piede destro. Non che Milik non ne sia provvisto, semplicemente sono due giocatori diversi, con qualità peculiari necessariamente distanti.
Svolgimento dell’azione e posizionamenti sono abbastanza casuali, certo. Ma la qualità del servizio di Mertens è tutt’altro che rara, o improvvisata.
Conclusioni
L’aspetto negativo, forse l’unico, di Napoli-Torino va ricercato nella scarsa efficacia in fase conclusiva. La prestazione più solida e propositiva dell’era Gattuso, tenendo conto delle contingenze e della qualità degli avversari, non ha comunque portato a chiudere il risultato fino al minuto numero 82′. Non sono mancate le occasioni nitide (si pensi a quella di Di Lorenzo nella ripresa su imbeccata di Politano, o al colpo di testa di Milik che ha lambito la traversa), quindi non è un dettaglio puramente tattico. Ma è evidente come il Napoli possa, anzi debba migliorare ancora nella qualità del suo gioco offensivo.
Gattuso ha costruito una squadra che ha imparato a settarsi e resettarsi in base al contesto, all’avversario da affrontare. In base alla propria convenienza. Napoli-Torino è l’evoluzione, anzi la miglior evoluzione possibile della partita giocata tre settimane fa contro il Lecce. Allora gli azzurri non riuscirono a dominare il gioco e restare equilibrati. Avevano mantenuto il possesso e portato avanti molti (troppi) uomini, così alla squadra pugliese bastò coprirsi bene e muovere velocemente il pallone per trovare ampi spazi da attaccare.
In questi venti giorni, il Napoli ha imparato a difendere in un certo modo, ha creato e consolidato dei meccanismi che oggi gli permettono di alzare i ritmi senza perdere le distanze, le certezze, le sicurezze. Ha vinto alcune partite grazie alla qualità dei suoi uomini migliori – e le vittorie, si sa, sono il miglior carburante mentale. Quella stessa qualità che ora, con fondamenta divenute solide, andrà alimentata lavorando su una fase offensiva più ambiziosa, più sofisticata, così da creare (ancora più) occasioni pulite, facili da convertire in gol. In questo senso, Napoli-Torino rappresenta un incoraggiante punto di partenza.