Sul CorSera la testimonianza di Sergio Harari, pneumologo milanese. “Sono scappati di notte, come nella Milano del ‘600. L’Italia è divisa tra solidarietà e quotidiani egoismi che ora non ci possiamo più permettere
Sul Corriere della Sera la testimonianza di Sergio Harari, pneumologo milanese in prima linea, in questi giorni di emergenza sanitaria da coronavirus.
“Sì, è un momento difficile, difficilissimo ma anche per certi versi straordinario”.
Racconta della solidarietà ricevuta da amici e colleghi sparsi nel mondo e anche da vecchi pazienti.
“C’è chi si offre di farci la spesa, chi di portarci un pranzo caldo, l’offerta di aiuto a chi, in prima linea sul campo, ha ridotto i contatti familiari e personali, è toccante”.
Perché molti medici si sono completamente autoisolati da famiglie e amici, per cercare di non mettere a rischio chi sta loro vicino e hanno cambiato le abitudini di vita, oberati totalmente dal lavoro.
“Viviamo in un mondo a parte. Abbiamo modificato perfino il nostro modo di vestire, tanto in ospedale ci cambiamo e vogliamo portare a casa meno capi di vestiario possibili entrati in contatto con l’ambiente”.
Harari racconta degli sguardi stralunati tra colleghi, della solidarietà, dell’ironia utilizzata per sdrammatizzare, quella che è consentita nella drammaticità della situazione. E di contatti continui con i colleghi degli altri ospedali, ma solo su Whatsapp, perché, dice,
“non si possono perdere minuti preziosi al telefono”.
Si va avanti a cercare di salvare vite mentre “un’altra parte del mondo sembra non capire”.
Si riferisce a chi è partito di notte, appena saputo del decreto di Conte che trasformava l’Italia in zona rossa. Come fecero i milanesi durante la peste del ‘600, come racconta Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi. Allora c’era l’esodo dei nobili dalle città alle campagne, per evitare la confisca dei loro patrimoni.
“oggi invece abbiamo le autocertificazioni e le deliranti scene penose alle quali abbiamo tristemente assistito. L’italia è questa, divisa tra generosità, solidarietà e quotidiani egoismi. Ma questi ultimi non possiamo più permetterceli”.