Oggi c’è solo una urgenza. Ma in futuro non sottovalutiamo l’universo che che ruota attorno a 20 milioni di praticanti. Servirà un intervento per non far morire lo sport amatoriale
Oggi c’è ovviamente un solo problema: superare l’emergenza sanitaria. La cui gravità ha già provocato moltissime vittime. Ed ha sconvolto e sconvolge la vita dei singoli, delle famiglie, dei luoghi di lavoro. Però, sia pure in questo momento di grande difficoltà, occorre lanciare uno sguardo al futuro. Guardare al futuro, per quanto grigio e duro lo si possa prevedere, “a egregie cose il forte animo accende”. Nel senso che guardare al futuro e riaccendere la speranza (anzi la certezza) di tempi migliori è un tutt’uno. Guardare al futuro significa individuare problemi, fare progetti e lavorare da subito per realizzarli.
Tutti gli osservatori concordano nel prevedere che il ciclone coronavirus sarà seguito da un periodo economico molto duro. Il rilancio del paese non sarà facile né immediato. E pertanto al governo toccherà fissare strategie e priorità di intervento. Tra le quali, certamente, in posizione alta saranno i problemi della sanità e, mi auguro, quelli legati alla ricerca scientifica ed alla istruzione di ogni ordine e grado. Più in generale, un piano di rilancio del mondo della produzione duramente colpito.
Qui mi limito a ricordare le sorti di un grande comparto della vita sociale. Il mondo dello sport. Che esce manifestamente raso al suolo dalla crisi e che forse viene erroneamente considerato secondario perché collocato nel novero delle attività di diporto. Quindi non essenziali.
Lo ripeto. Non tocca a me indicare priorità di intervento. Questo è compito del governo. Però qualche numero forse vale la pena ricordarlo per chiarire la dimensione del fenomeno sport. Quando parlo di sport non penso al calcio degli eroi miliardari. Penso anche a quello. Che rappresenta comunque una delle principali imprese del paese. Ma non principalmente a quello. E più in generale non penso agli sport che sono ormai business. Penso insomma allo sport dilettantistico ed amatoriale la cui dimensione sfugge ai più.
Lo sport ha sempre avuto, fin dall’antichità, un ruolo di primo piano nell’organizzazione sociale dei popoli. Anche un ruolo simbolico.
Si pensi che nell’Iliade Omero narra che, per rendere gli onori funebri a Patroclo, Achille organizzasse, con ricchi premi, otto gare: corse con i carri, pugilato, lotta, corsa a piedi, duello con la lancia, lancio del disco, tiro con l’arco e lancio del giavellotto.
Lo sport ha ispirato poeti e scrittori come Saba, Montale, Gatto, Caproni, Raphael Alberti, Brera, Arpino, Galeano, Vásquez Montalbán… per citarne soltanto pochi.
Questi i dati in Italia: 20 milioni di praticanti, 5 milioni di tesserati presso le diverse federazioni sportive, 250000 tecnici, 18000 dirigenti federali e 560000 dirigenti societari, 117000 ufficiali di gara, 63000 società ed associazioni sportive che operano nel paese. Questi numeri danno la dimensione del fenomeno. Nel dramma complessivo del paese anche questo mondo si è fermato. Un mondo che vive molto sulla passione individuale. Ma che non può vivere soltanto della passione individuale.
Insomma quello degli impianti sportivi (circa 150000 tra pubblici e privati), quello del sostegno alle società sportive è un grande problema. Intorno al mondo dello sport vive, senza arricchirsi, un numero enorme di persone. E quindi esso va considerato è sostenuto al pari degli altri comparti economici del paese.
Sentivo l’altro giorno parlare Franco Porzio olimpionico di pallanuoto. Egli richiamava i costi da affrontare per riaprire una piscina chiusa per mesi: manutenzione, stipendi arretrati del personale, sanificazione dell’impianto… Si pensi poi alle rette non incassate.
Alle famiglie che saranno esitanti a iscrivere nuovamente i ragazzi sia per motivi economici sia per la comprensibile “psicosi da contagio”. Che chi sa quanto a lungo ci condizionerà anche una volta finita l’emergenza. In sostanza il rischio che molti impianti non riaprano proprio più, che molte società si sciolgano è altissimo.
Di fronte a questo scenario non si può restare insensibili. Dobbiamo essere coscienti della funzione che lo sport ha nella vita dei ragazzi. Gli impianti, le società, le associazioni devono assolutamente ripartire. Sotto questo aspetto confidiamo che si realizzi velocemente l’impegno assunto dal ministro Spadafora di prevedere un intervento ad hoc per rilanciare lo sport .
Il ruolo sociale dello sport si manifesta sia ai massimi livelli agonistici, sia per la cura individuale del benessere fisico e mentale, innanzitutto dei giovani, sia come stimolo alla cooperazione ed al lavoro di gruppo come accade per gli sport di squadra.
Non ce ne dimentichiamo.