A Tpi il presidente Marco Bonometti: «Non si poteva fermare la produzione, sennò i morti sarebbero aumentati. Codogno è un paesino, non fa testo»
Tip pubblica un’illuminante intervista al presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti. Illuminante perché offre una spiegazione inedita della circolazione del virus in Lombardia e, soprattutto, ammette, nemmeno troppo tra le righe, che dietro le mancate zone rosse che avrebbero potuto salvare la regione dalla devastazione del virus, in fondo, lo zampino della Confindustria c’è.
Partiamo dalla famigerata zona rossa, quella che non è mai stata istituita né ad Alzano Lombardo né a Nembro. Cosa che ha fatto dilagare indisturbato il virus provocando centinaia di morti tra i cittadini lombardi. Una scelta che persino il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha definito, a posteriori, un errore. Ma Bonometti no.
«Il vero errore è stato quello di lasciare che la gente andasse in giro, andasse nei bar, nei ristoranti, nelle discoteche».
E rilancia (e qui viene la parte illuminante), indicando un’altra causa per spiegare come mai il Covid-19 abbia trovato terreno fertile soprattutto nella bergamasca, provocando quello che assomiglia molto ad un’ecatombe.
«Ci sono diverse le ragioni: innanzitutto qui c’è una presenza massiccia di animali e quindi c’è stata una movimentazione degli animali che ha favorito il contagio, parlo degli allevamenti, e questa potrebbe essere una causa».
L’intervistatrice, Francesca Nava, gli fa notare che gli animali non sono considerati veicoli di contagio del virus e allora lui corregge il tiro.
«Se non sono stati ritenuti veicolo di contagio, non c’è spiegazione, anche se un’altra causa è che si tratta di zone densamente popolate da industrie e quindi la movimentazione delle merci e della gente ha certamente favorito. Non all’interno delle fabbriche, però, perché le fabbriche sono considerate per noi i luoghi più sicuri».
Non sarebbe stato meglio chiudere tutto come a Codogno, soprattutto dopo l’allarme lanciato dall’Istituto Superiore della Sanità? Giammai, risponde – ovviamente – Bonometti.
«Per fortuna che non abbiamo fermato le attività essenziali, perché sennò i morti sarebbero aumentati. Le faccio un esempio: il problema dell’ossigeno, il problema delle aziende farmaceutiche, che stanno lavorando a pieno ritmo. Lo sbaglio è stato di non considerare nel codice Ateco anche le filiere dei servizi essenziali. Io ho sempre sostenuto che bisognava salvaguardare le vite umane e dall’altra parte salvaguardare la produzione essenziale, che permetteva di dare il sostentamento di salute e sicurezza ai cittadini. La verità è che buona parte di questa classe politica è incompetente. Basti pensare che per fare gli acquisti ci sono ancora le gare. Bisognava fare come prima cosa un commissario con pieni poteri».
Bonometti però conferma che i vertici della Regione Lombardia convocarono gli industriali per avere il loro parere sull’istituzione della zona rossa. Anche il presidente di Confindustria Bergamo, Stefano Scaglia, lo aveva detto, in un’intervista a L’Eco di Bergamo. Scaglia aveva raccontato che le istituzioni erano «profondamente divise» e che gli industriali si erano «limitati a fornire dati e informazioni perché i decisori potessero avere un quadro completo per decidere al meglio».
Bonometti va oltre. Le zone rosse non si potevano fare. Stop. Altro che elementi utili al quadro generale.
«Ci siamo confrontati, ma non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione. Le faccio un esempio: se oggi la Dalmine non lavorasse, io ho insistito per tenerla aperta, le bombole per l’ossigeno non ci sarebbero. Ma le bombole per l’ossigeno sono una filiera che parte dall’acciaio, alla calandratura, dalla saldatura, alla meccanica. Per fortuna che sono rimaste aperte certe attività. Se non ci fossero state le imprese aperte con l’utilizzo e lo sfruttamento dell’ossigeno che diamo agli ospedali, la gente sarebbe morta».
Una zona rossa in Val Seriana, come accaduto a Codogno, sarebbe stata senza senso. Bonometti ammette che gli industriali erano contrari alla scelta.
«Noi eravamo contrari a fare una chiusura tout court così senza senso. Codogno è un paesino, capisce che non fa testo».
Codogno, gli fa notare l’intervistatrice, ha più abitanti di Alzano e Nembro, ma non la stessa densità di fabbriche e industrie.
«Appunto».
Dichiara Bonometti. Lasciando campo libero a mille interpretazioni. E forse rendendosene conto aggiunge:
«Però ora non farei il processo alle intenzioni, bisogna salvare il salvabile, altrimenti saremo morti prima e saremo morti dopo».