L’allenatore era partito da concetti sarristi che non hanno funzionato. La squadra esprime il meglio quando serra i ranghi e riparte. Anche se non lo ammette
Il possesso palla è al centro del calcio di oggi e Gennaro Gattuso, da buon allenatore figlio del suo tempo, predica questo principio nel suo credo tattico. Il Napoli infatti è primo in questa statistica in campionato, per quanto non sia così evidente e divertente come lo era con Sarri in panchina. Eppure l’attuale allenatore ha ripreso molti di quei concetti, sperando di poterli applicare con risultati simili: la pressione alta, movimenti coordinati, la costruzione dal basso. L’obiettivo, dunque, è sempre stato quello di progettare un gioco bello, riconoscibile e votato all’attacco. E dopo 14 partite sotto la sua guida, possiamo dire che un traguardo del genere non è stato raggiunto, ma volutamente.
L’orientamento filosofico dei tecnici può ridursi in modo quasi manicheo tra chi punta a segnare di più e chi invece a subire di meno. Il Gattuso napoletano come anche quello milanista, per quanto abbia sempre fatto proprie le idee del primo partito, appartiene nella pratica palesemente al secondo. Si è trovato ancora una volta a sacrificare certe velleità in favore della compattezza, causa ed effetto di un atteggiamento più lucido e concentrato. Così sono stati eliminati il pressing a tutto campo e l’ambizione di farsi condurre dalla manovra ragionata fino all’area avversaria, da occupare con un certo numero di uomini, in favore di un baricentro più basso e di una spiccata attitudine al capovolgimento improvviso di fronte, studiato in modo da mettersi sempre in condizione di finalizzare.
E dire che ci stava ricascando, Gattuso. Contro l’Inter ha richiesto alla squadra nel primo tempo quei concetti che il Napoli non è in grado di gestire. Infatti i nerazzurri hanno occupato meglio il campo, specialmente nei settori di Candreva ed Eriksen che hanno goduto di un’eccessiva libertà. Un aspetto che rischiava di passare in secondo piano, dal momento che la squadra di Conte ha sbloccato la partita quasi per caso, a fronte di diverse occasioni. Non è invece una coincidenza che nella ripresa al cambio di atteggiamento del Napoli sia corrisposta una minore pericolosità dell’Inter. Gli azzurri hanno rimodulato le distanze tra i reparti, avvantaggiati anche dalla situazione di punteggio, tornando a fare un tipo di gioco che gli riesce benissimo. E che nasce da una precisa necessità: quella di non subire reti.
Quattro sconfitte nelle prime cinque partite di Serie A sono servite per chiarire che l’ambizione di un determinato tipo di calcio andava accantonata. La sfida con la Juventus arrivava al momento giusto, perché quel serrare i ranghi che ha favorito la risalita del Napoli ha potuto beneficiare anche della carica emotiva che da sempre avvolge questa partita. L’efficacia di questo nuovo sistema di gioco con linee strettissime, pressione bassa e contropiede ha permesso di riproporlo non più soltanto contro le grandi squadre (Lazio e all’andata con l’Inter in Coppa Italia, Barcellona in Champions) ma in ogni situazione.
Il cambio di rotta risalta maggiormente nelle competizioni ad eliminazione diretta, dove il peso di un gol aumenta notevolmente. Le ultime tre reti segnate tra Champions League e Coppa Italia sono originate infatti dalla stessa situazione di gioco: il recupero del pallone, la conduzione veloce, il passaggio preciso, la conclusione d’autore. La qualità, che di certo non manca, viene ottimizzata in pochi e mirati momenti della partita. L’immagine del collettivo si avvicina di più al Gattuso giocatore rispetto a quello allenatore: la ridotta distanza tra i reparti conferisce un’aura pugnace, che esalta le giocate dei finalizzatori. Il Napoli insomma è diventato molto più umile. Ma non quanto basta da ammetterlo.