A SuperNews: «Romano fu decisivo per lo scudetto. A Napoli non ero in buoni rapporti con Bianchi. Andai alla Lazio, mi voleva Fascetti. Ne divenni il capitano»
L’ex calciatore del Napoli (e non solo) Raimondo Marino ha concesso un’intervista a SuperNews. Ha parlato del Napoli, di Maradona e del primo scudetto. Non c’era eppure si attribuisce un merito.
La convocazione in prima squadra.
Il 14 ottobre 1979. Mi ero allenato tutta la settimana, e la società doveva decidere se convocare me o un altro giocatore, pagato profumatamete. Hanno preferito convocare me. La sera, eravamo a Milano, il mister aveva l’abitudine di fare il giro delle stanze. Mi bussa e mi chiede: “Come stai, Raimondo? Perché domani ti faccio giocare a San Siro”. Avevano scelto me. Fu un’emozione fortissima, l’emozione che solo un ragazzo che viene da un paesino di 500 abitanti e che si ritrova sul campo di San Siro può provare.
Maradona
A Diego ho fatto tantissimi gavettoni. (Ride). Era incredibile: quello che lui faceva con il sinistro, noi non riuscivamo a farlo con le mani. Prima delle partite, Diego si metteva a palleggiare e a fare canestro nella cesta dei panni da lavare. Poi, iniziava a palleggiare con un’arancia, dopo ancora con un limone. Noi stavamo seduti a guardarlo, sbalorditi e divertiti. Era il numero uno. Ho avuto modo di conoscerlo anche fuori dal campo, dal momento che spesso uscivamo a cena tutti insieme. Era un ragazzo eccezionale.
Il suo ruolo nel primo scudetto del Napoli.
Ricordo quell’anno storico. Credo che se non fossi andato via da Napoli, probabilmente le cose non avrebbero preso la piega che poi hanno preso. Il perché? Perché la squadra, in quel momento, aveva bisogno di un mediano come Romano. Ero uno dei pochi giocatori ad essere molto richiesto in Serie A, inoltre non andavo troppo d’accordo con Bianchi. Così, decisi di andarmene. La mia cessione ha consentito al Napoli di acquistare Romano. Credo sia stato anche questo acquisto a consentire al Napoli di conquistare lo scudetto.
Alla Lazio dal 1986 al 1989.
Arrivai alla Lazio per il forte interesse che Fascetti, allora allenatore del club, nutriva nei miei confronti. In quel periodo, i biancocelesti erano in difficoltà, erano in zona retrocessione, mentre io giocavo nella squadra che si trovava a pochi passi dal titolo. Nonostante i tentativi di trattenermi a Napoli, io ormai avevo deciso di andarmene. Così, arrivai ad indossare la maglia biancoceleste, e io e i miei nuovi compagni riuscimmo a conquistare la salvezza. A Roma, ero considerato uno dei più forti della squadra. Fu un grande riconoscimento ricevere e indossare la fascia di capitano. Tifosi e club mi apprezzavano: avevo lasciato una squadra di vertice per una che invece lottava per non retrocedere. Non è affatto una scelta comune.