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“Riaprono le discoteche e non il calcetto. Il governo ci porta al fallimento”

Parla il titolare del Rama Club di Fuorigrotta: “Non ci danno nemmeno una previsione, rinuncio a 15 prenotazioni al giorno. Un disastro”

“Riaprono le discoteche e non il calcetto. Il governo ci porta al fallimento”

Calcetto sì, calcetto no. Nella giornata di ieri c’è stato un susseguirsi di notizie. Prima il ministro dello Sport Spadafora ha dato il suo ok agli sport di contatto, poi è arrivato il parere contrario del Comitato tecnico scientifico. In mezzo, centinaia di migliaia di strutture, in tutta Italia, ancora ferme al palo. E senza alcuna previsione di riapertura. Ne abbiamo parlato con il responsabile di una di queste, il Rama Club di Fuorigrotta, Vittorio Bellucci.

Lamenta di avere la struttura ferma al 60% dal 7 marzo.

«Per noi è una grossa perdita economica. Non abbiamo avuto un euro dallo Stato e abbiamo gli operai in cassa integrazione. Ci stanno portando alla distruzione. Ma se vai allo Scoglione a Marechiaro domani mattina trovi mille persone che mangiano e bevono stipate una sull’altra. Per la vittoria della Coppa Italia tutti a bere per strada. Riaprono anche le discoteche. E noi? Non abbiamo neanche una previsione».

Neanche voi addetti ai lavori avete notizie ufficiali?

«Nessuna. Quello che sappiamo lo apprendiamo da internet e dai giornali. La mia impressione è che prima di settembre non autorizzeranno le partite amatoriali. Consentire una partita di calcetto vuol dire far cadere l’obbligo di distanziamento sociale ovunque, anche al bar. Bisognerebbe allargare per tutti e il governo non vuole, per questo mantiene il divieto. Ma non ha senso, perché, nella realtà dei fatti, il distanziamento non esiste già più. A via Caracciolo ci sono centinaia di persone, sui muretti di via Petrarca la sera pure. Sono regole che danneggiano solo gli imprenditori. Abbiamo dieci famiglie ferme che ancora non hanno ricevuto tutta la cassa integrazione. Hanno avuto solo marzo e aprile, niente per maggio e giugno. Li aiutiamo noi nella sopravvivenza».

Qualcuno viene a controllare che non si facciano partite?

«Non sono mai venuti a controllare, ma noi non facciamo giocare nessuno. Rifiutiamo dalle 10 alle 15 prenotazioni di partite al giorno. Non abbiamo mai dato il pallone neanche a chi viene a giocare a tennis e poi vorrebbe fare due passaggi sul campo. Altrimenti aggiungiamo al danno la beffa. Magari vengono i vigili e ci fanno la denuncia penale, ci chiudono la struttura. Dovevamo assumere personale, fare investimenti ma non abbiamo potuto fare niente. E intanto le scuole calcio sono sospese, le famiglie hanno già pagato per un servizio interrotto. Un disastro».

Racconta di stare convertendo il centro al tennis, per sopravvivere e anche in vista del futuro.

«Stiamo lavorando un po’ con il tennis, ma con partite a 10 euro la struttura non la mantieni. Abbiamo eliminato un campo da calcetto, avevamo il paddle, stiamo lavorando con quello, ma non sono le stesse entrate del calcio».

È persa un’intera stagione, dice.

«Con le scuole calcio e i tornei si lavora molto a marzo, aprile, maggio e giugno. Anche luglio. Poi ad agosto ci si ferma, si fanno le migliorie, si investe. Ma quest’anno abbiamo perso tutto e non possiamo muovere niente. Proprio a Napoli, che è una città che vive di calcio, dove gli altri sport non esistono. Per non parlare dei quartieri più popolari: che fine faranno tutti i bambini che avevano un’opportunità di vita diversa con il calcio? ».

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