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Il Napoli di Gattuso è ancora nella terra di mezzo

Ha le stesse ambizioni di Gasperini ma fa ancora fatica a capire come deve trasformarsi. L’Atalanta ha vinto da grande squadra

Il Napoli di Gattuso è ancora nella terra di mezzo

Due squadre diverse, in un momento diverso

Dal punto di vista tattico, la partita tra Atalanta e Napoli ha messo di fronte due squadre consapevoli delle proprie qualità. Due squadre con dei chiari obiettivi di gioco. Solo che il progetto di Gasperini è in una fase più avanzata, quindi è pienamente definito, compiuto; quello di Gattuso, invece, non ha ancora una forma, una direzione precisa per certe partite. L’altra grande differenza si è manifestata sul piano atletico: tutti gli uomini utilizzati da Gasperini – a parte Papu Gómez – avevano una fisicità più prorompente rispetto a quelli del Napoli.

Non si tratta di corsa, di qualità e/o qualità di chilometri percorsi, è proprio un discorso di misure: ieri campo nove giocatori di movimento in maglia nerazzurra erano più alti di 180 centimetri; sei di questi sono più alti di 185 centimetri. Inoltre parliamo di atleti possenti ma scattanti, con muscolature reattive, che gli consentono di essere elastici, continui nello sforzo fisico. È per questo che l’Atalanta gioca in un certo modo. Il calcio di Gasperini – esattamente come quello della stragrande maggioranza degli allenatori – non è un esercizio ideologico, piuttosto una scelta funzionale al materiale umano a sua disposizione. Si basa su uno stile aggressivo in difesa e su meccanismi d’attacco provati, ripetuti, affinati nel tempo. Su interazioni fisiche e mentali mandate a memoria e organizzate perfettamente da Alejandro Gómez – di cui parleremo dopo, in maniera approfondita.

Nel primo tempo, l’Atalanta è altissima in campo, per bloccare sul nascere il gioco del Napoli, come d’abitudine per Gasperini.

È per questo che l’Atalanta scende in campo tenendo un baricentro alto, in modo da difendere uomo su uomo. Questo tipo di calcio, espresso graficamente nell’immagine sopra, è molto fastidioso per il Napoli. Per una squadra che paga un gap fisico evidente – ma questa è una scelta strutturale – e che, come ieri, è sceso in campo provando a giocare ogni pallone, a gestire tutte le azioni con personalità. Costruendo dal basso. Una scelta strategica mirata a rendere vane le marcature uomo su uomo, i duelli individuali e fisici che Gasperini crea a tutto campo. Nel primo tempo, la squadra di Gattuso ci è riuscita bene, ma poi non è stata in grado di essere pericolosa in avanti. Nella ripresa, ha sbagliato un’uscita due secondi prima della rete di Pasalic, è stata sfortunata sul secondo gol e – soprattutto – è stata poco precisa e graffiante nelle (poche) occasioni concesse dagli avversari.

Il risultato si è determinato perché l’Atalanta ha gestito meglio le varie fasi della partita ed è stata più cinica nello sfruttare i momenti, gli episodi. Non ha sbagliato quasi nulla, è stata perfetta nell’applicazione di un piano tattico ormai interiorizzato e geneticamente problematico da fronteggiare per il Napoli. Che, invece, ha scelto uno strumento per provare a superare l’avversario e ha adoperato essenzialmente quello, e basta. Però quello strumento non è bastato. E poi ha pure commesso degli errori.

Le scelte tattiche

Soprattutto nel primo tempo, abbiamo visto alcuni accorgimenti tattici preparati da Gattuso: una marcatura praticamente a uomo di Maksimovic su Zapata, atta ad evitare che l’attaccante colombiano potesse ricevere e proteggere il pallone, per poi far salire i compagni; tanti movimenti di Insigne a tagliare il campo, per venire a giocare il pallone anche sulla fascia destra, così da offrire un’ulteriore linea di passaggio a Politano; svuotamento della zona centrale davanti alla difesa, una strategia attuata pure a Verona. Come avvenuto al Bentegodi, Demme era seguito a uomo da un avversario (Gómez); per uscire costruendo dal basso non era possibile passare dai suoi piedi, perciò il tedesco ha avuto grande libertà di movimento e ha giocato pochi palloni rispetto ad altre gare (53). Fabián Ruiz, così, si è ritrovato a gestire un gran numero di possessi (80, la quota più alta tra i sei elementi tra centrocampo e attacco).

Il frame in alto mostra la posizione fluida di Demme, ma anche le marcature uomo su uomo dell’Atalanta in fase passiva; nel campetto in basso, invece, ci sono tutti i 53 palloni giocati dal centrocampista tedesco. Nel grafico, il Napoli attacca da destra verso sinistra.

L’abbiamo detto anche in apertura: queste mosse hanno funzionato, ma solo in fase difensiva. Nei primi 45′, infatti, l’Atalanta ha tirato per 4 volte verso la porta del Napoli; di questi tentativi, 3 sono stati scoccati da fuori area. Il Napoli, però, non ha fatto molto meglio: 6 tiri scoccati liberamente e uno bloccato dai difensori bergamaschi, con 3 conclusioni finite nello specchio. Non a caso, nel postpartita, Gattuso ha detto che i suoi giocatori «hanno commesso tanti errori negli ultimi 25 metri».

Proprio questo è stato il vero problema del Napoli: la squadra di Gasperini è stata effettivamente bloccata, ma nel frattempo il Napoli non ha mostrato di possedere gli strumenti per poter far male in avanti. Il gioco offensivo, dopo la costruzione bassa, è risultato prevedibile e poco ispirato. L’Atalanta non ha commesso errori difensivi, ha fatto valere la propria forza fisica e ha semplicemente atteso gli errori del Napoli. Affidandosi a Papu Gómez.

La regia come funzione a tutto campo, non come ruolo

Nel calcio moderno, l’idea di ruolo è sempre più sfumata. È molto (più) importante capire a quale/i giocatore/i vengono affidati compiti e funzioni. Per esempio, nel Liverpool di Klopp la regia – intesa come costruzione del gioco offensivo – è appannaggio dei terzini, soprattutto di Alexander-Arnold, mentre nel Napoli di Gattuso passa soprattutto per i piedi delle mezzali, e di Lorenzo Insigne. Ieri, l’Atalanta ha scelto Papu Gómez come regista. O meglio: come regista offensivo, ma anche come organizzatore del gioco tout court.

I 71 palloni giocati da Papu Gómez, ovvero il concetto di regia a tutto campo

È un’evidenza statistica, ma non solo. Sopra, si vede la distribuzione in campo di tutti i palloni giocati da Gómez; in occasione del primo gol, è proprio Gómez a crossare al centro il cross per Pasalic, ma soprattutto è sempre Gómez – con una meravigliosa scucchiaiata – a innescare l’azione di Castagne, che poi porterà al passaggio intercettato in uscita di Fabián Ruiz. In quel momento, l’argentino agiva tutto spostato sulla destra, ma il punto – ripetiamo – è che lui è stato cercato e utilizzato dai compagni per gestire le azioni. Indifferentemente dalla sua posizione. Anzi, era lui a determinare le zone in cui il pallone doveva arrivare, grazie alle sue intuizioni.

Dal punto di vista tattico, la scelta di Gasperini ha avuto un duplice significato: in fase offensiva, Gómez era più libero, soprattutto di arretrare, così da decidere volta per volta come – e soprattutto dove – andare a sostenere i compagni. Lui l’ha fatto soprattutto a centrocampo, laddove in teoria c’era uno scontro in parità numerica tre contro tre. Unendosi ai centrocampisti – Pasalic, De Roon e  Freuler – il Papu determinava una sorta di 3-6-1 e creava i presupposti perché l’Atalanta avesse un uomo in più in mediana contro Fabián Ruiz, Demme e Zielinski. In fase passiva, invece, il capitano nerazzurro ha seguito a uomo Demme. Un uno contro uno continuo che, come abbiamo visto prima, Gattuso ha provato a bypassare facendo muovere molto l’ex Lipsia. Ma abbiamo visto anche come questa strategia sia stata efficace fino a un certo punto. A un certo punto del campo e del tempo.

Il secondo tempo

Sì, perché la partita è cambiata dopo i due gol in rapida successione dell’Atalanta. Il Napoli ha commesso un errore ed è stato punito. Pochi minuti dopo, un tiro sbagliato di Toloi è diventato un assist perfetto per Gosens. A quel punto, l’Atalanta non ha dovuto fare altro che ritrarsi dietro, esasperando la parte difensiva del suo sistema. Secondo i dati della Lega, il baricentro della squadra di Gasperini è sceso da 55 a 42 metri nella ripresa. Ancora: dal secondo gol fino alla fine della gara, i bergamaschi non hanno più tentato la conclusione verso la porta di Meret. Insomma, l’Atalanta ha saputo passare in modalità trincea: con gli spazi congestionati e il sovraccarico difensivo sul lato destro, il Napoli è stato disinnescato per larghissimi tratti di partita.

Nel frame in alto, vediamo tutti i dieci giocatori dell’Atalanta dietro a linea del pallone durante una fase di attacco posizionale del Napoli. In basso, nei due campetti, vediamo le posizioni medie dei nerazzurri in fase passiva. Sia nel primo tempo (a sinistra) che nel secondo, vediamo come De Roon sia stato utilizzato a supporto della catena difensiva di destra. In pratica, Gasperini ha rinforzato la zona di campo da cui il Napoli fa originare la maggior parte delle sue azioni. Il numero 10 è Gómez, e paradossalmente ha giocato in posizione più avanzata durante la fase passiva: come detto, il suo compito era seguire Demme.

Per chiudere il discorso, si torni alla dichiarazione di Gattuso sulla scarsa brillantezza in fase conclusiva e di rifinitura. Il tecnico azzurro ha ragione: la sua squadra, infatti, ha creato le occasioni più nitide proprio nella ripresa. Nonostante il cambio di registro dell’Atalanta. La più evidente è stata quella fallita da Fabián Ruiz dopo uno splendido colpo di tacco di Milik, ma andrebbero conteggiate anche quelle costruite da Lozano – su cui Gollini è stato bravo e fortunato.

Contro l’Atalanta, contro questa Atalanta, certe situazioni dovevano essere sfruttate. Perché avrebbero riparato a quegli errori che hanno portato sul 2-0 un avversario di buona qualità, e che è apparso più forte fisicamente, più esperto – almeno in questo momento, almeno rispetto al proprio sistema di gioco. I cali di concentrazione e fisici della squadra di Gasperini sono stati più o meno pari a quelli del Napoli. Solo hanno avuto un esito e un peso diverso sulla partita, perché sono stati gestiti meglio da coloro che li hanno vissuti.

Conclusioni

Siamo tornati al punto di partenza. L’Atalanta è una squadra completa, con una sua identità chiara, radicata e diciamo pure radicale. Solo che però ieri ha dimostrato di saper passare da un approccio all’altro, che non vuol dire stravolgere i propri principi, piuttosto adattarli ai momenti della gara. Gasperini l’ha fatto affidandosi a Gómez, ma anche chiudendosi al momento giusto, dopo aver segnato due gol. Certo, è stato anche fortunato, per come sono arrivate le marcature di Pasalic e Gossens e perché un gol del Napoli nella ripresa avrebbe potuto cambiare la partita. Non è successo, l’Atalanta ha vinto da grande squadra e ha legittimato i suoi 15 punti di vantaggio in classifica. Non tanto per il valore dei giocatori, quanto per lo stato di avanzamento del suo progetto.

Gattuso ha la stessa ambizione, solo che in certe partite il suo Napoli fa ancora fatica a capire come trasformarsi. I match in cui può e deve difendersi, l’abbiamo visto in Coppa Italia contro Lazio, Inter e Juventus, vengono approcciati e affrontati bene; le gare contro avversarie di basso livello ora vengono gestite con qualità e intelligenza. La terra di mezzo è ancora un luogo difficile da affrontare per una squadra che ha grande tecnica, ma che può pagare a caro prezzo le prestazioni negative dei suoi uomini migliori. Dei vari Insigne, Mertens, Politano, Fabián Ruiz e Zielinski, ieri impalpabili o quasi in fase offensiva.

L’idea di Gattuso è quella di costruire una squadra che abbia equilibrio, che vuole palleggiare in maniera sofisticata, che vuole esaltare il talento dei suoi uomini d’attacco. Ebbene, proprio per questo il suo prossimo compito è costruire dei meccanismi offensivi che gli permettono di compensare il gap fisico e partite in cui il talento fa fatica ad accendersi. Ad andare oltre il possesso palla.

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