La vittoria sul Napoli ha chiarito che lo spettacolo è solo un sintomo, dietro l’Atalanta c’è un camaleonte organizzato. C’è il calcio post-ideologico
Ad un certo punto Gasperini diventa una questione semantica. E’ contemporaneamente un allenatore “di provincia”, e il più “europeo” di tutti i tecnici della Serie A. Ha così traumatizzato la critica che ormai vale tutto e il contrario di tutto: il vano tentativo di ricondurre l’Atalanta a confini logici e geografici, persino sociali, muore ogni volta che Gomez pianta un assist in area e Gosens segna. Gosens – il difensore – non Zapata. E’ come un mazzo di carte truccate che cade dal tavolo: raccogli, rimescoli e peschi sempre quelle vincenti.
Gasperini, forse, merita l’abbandono delle definizioni: il “calcio totale” della vecchia Olanda, l’insistenza atletica che continua a riprodurre sgradevoli sospetti, gli schemi difensivi troppo elaborati… persino la gavetta da ribelle che l’ha portato – nella narrazione che se ne fa – a realizzarsi in una enclave irriproducibile. La vittoria – facile, liscia, ad un certo punto “drammaticamente” scontata – sul Napoli ha chiarito per l’ennesima volta: lo spettacolo è solo un sintomo, dietro c’è un camaleonte organizzato. C’è il calcio post-ideologico. La cosa più attuale che troverete in giro, in questo periodo. Alla faccia della provincia.
Gasperini, di suo, paga un ego che batte moneta e una certa insistenza nel farsi antipatico e permaloso (per non parlare dell’affaire Covid…). Non aiuta la carriera, un atteggiamento così. Ma – come dire – chissenefrega. In campo la sua creatura – che a suo dire ormai va da sola, tipo Robocop – parla per lui una specie di nuovo esperanto tattico, che tutti gli riconoscono. Anche senza capirlo davvero, alla fine il senso arriva. L’Atalanta “comunica” calcio.
Da allenatore della Primavera della Juve, anni novanta, era affascinato dall’Ajax di Van Gaal, lasciò il suo 4-3-3 (che all’epoca andava di moda) e passò al 3-4-3. Col Crotone fa il salto dalla C1 alla B. E poi c’è il Genoa. Gasperini è stato “l’allenatore del Genoa” molto prima di essere “l’allenatore dell’Atalanta”. In mezzo non c’è niente. Due tatuaggi di carriera e vita. Il mito della provincia diventa una dannazione.
La parentesi all’Inter, quella in cui perde 4 partite delle sole 5 partite è una cicatrice. Uno stigma. Diventa un allenatore che non sopporta il grande palcoscenico, la società pesante, la fretta. Fuori dalla confort-zone non rende. A Palermo, preso nel 2012/13 dopo tre giornate di campionato, viene persino esonerato. Se prendi il suo curriculum, l’Atalanta non è un punto di arrivo, o di conferma. E’ pure il suo punto-nascita.
Quello è il passato. Il presente è il Napoli di Gattuso smontato pezzo pezzo, piegato da un principio e dalla sua applicazione: non è scontata l’Atalanta. Sa aspettare, è furba, anche. Sa giocare a pallone in vari modi, li sa alternare, sa scegliere il momento, cambia faccia se serve. Poi alla fine vince, e nell’esaltazione finisce sui giornali solo l’aspetto estetico: bella, bellissima, sempre all’attacco, instancabilmente in pressione. Ma Gasperini ha dato a questa squadra più idee. Ha creato una squadra multiforme, stratificata. Che ormai contraddice e smentisce tutti i luoghi comuni che l’accompagnavano: fa un gioco troppo dispendioso, poco adatto ai grandi campioni, funziona benissimo coi comprimari.
In questo momento l’Atalanta in Italia è prima per distacco per gol segnati (82, la Lazio seconda ne ha fatti 66), per tiri in porta, per assist, ma NON per chilometri percorsi. E’ nona, in questa speciale classifica che dovrebbe aiutare a misurare il dispendio atletico: corrono e quindi faticano di più Inter Juve, Verona, Lecce, Lazio, Parma, Bologna e Roma. Ma noi, qui, siamo ancora all’occhiolino, la “zeppata”, l’insinuazione del dubbio: “corrono troppo, è sospetto”. Semplicemente corrono meglio. E’ diverso.
Mentre la critica s’ingolfa nella lana caprina, in Europa l’Atalanta è messa tra i pretendenti sussidiari del trono. Forse tocca farsene una ragione: per alcuni che vinca la Champions non è un miraggio. E’ una possibile – poco probabile – realtà. E in questo credito sta tutta la rilevanza attuale di Gasperini. A dispetto delle etichette. Il calcio di domani è “no logo”.