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Il Napoli di Gattuso è ancora troppo conservatore

L’allenatore è riuscito a dare più equilibrio alla squadra ma la scoperta di nuove possibilità in attacco passa dalla sperimentazione di uomini e meccanismi

Il Napoli di Gattuso è ancora troppo conservatore

Attacco contro difesa

Napoli-Udinese è stata una partita dall’andamento lineare: la squadra friulana ha deciso di giocare 90 minuti in trincea, di superare la metà campo solo con azioni verticali. In questo modo, ha invitato gli uomini di Gattuso ad avanzare, ad attaccare in massa, a difendersi con un baricentro altissimo.

Quella di Gotti non è stata una scelta ideologica: quando in squadra hai tre difensori come Rodrigo Becão, Nuytinck e De Maio, tutti più alti di 190 centimetri e non proprio rapidissimi, l’idea migliore per la fase passiva è quella di occupare gli spazi piuttosto che aggredirli; e poi, quando il tuo attacco si fonda su un giocatore veloce, bravissimo in transizione, come Kevin Lasagna, la strategia più efficace non può essere che il contropiede.

La lettura tattica di questa partita parte dall’avversario, per una volta. È stato il Napoli ad adattarsi al contesto: un’ulteriore dimostrazione di come la squadra di Gattuso sia pensata e costruita in maniera diversa rispetto a quella di Sarri nel triennio 2015-2018. Che, semplicemente, affrontava ogni partita come se fosse contro l’Udinese. O meglio: contro un’Udinese. Il Napoli di Gattuso è programmato per giocare partite come quella di ieri, ma anche in maniera più compatta, più accorta. Più che altro, per la gara contro l’Udinese, gli azzurri hanno dovuto esasperare alcuni aspetti del loro sistema: il possesso palla, l’attacco posizionale, le rotazioni a centrocampo. Alcune cose hanno funzionato, altre un po’ meno.

Alla ricerca della qualità

Le scelte prepartita di Gattuso, quasi come a intuire ciò che sarebbe successo in campo – o meglio: ciò che avrebbe trovato dall’altro lato del campo –, volevano esaltare la qualità e la velocità. Quindi dentro il centromediano più creativo (Lobotka) in mezzo alle due mezzali e il centravanti tecnico dal baricentro basso (Mertens). L’obiettivo, dichiarato ed evidente, era quello di stanare la difesa di Gotti facendo retrocedere Mertens verso il centrocampo. Una dinamica che si vede chiaramente dalla mappa dei suoi palloni giocati.

In alto, tutti i palloni giocati da Mertens; sopra, invece, ci sono quelli toccati da Milik. Tra un attimo vi spieghiamo perché. Nella mappa di Milik ci sono anche le sue 3 conclusioni verso la porta di Musso.

Piccola digressione sul calciomercato

Sotto quella di Mertens, abbiamo messo quella di Milik. Lo abbiamo fatto per parlare brevemente di calciomercato, un argomento che forse c’entra poco con gli articoli di questo spazio, ma in questo caso no. Per un motivo semplice: avete visto che Mertens e Milik, al netto delle conclusioni verso la porta – che il belga non è riuscito a tentare per questioni di tempo, essendo uscito al 31esimo minuto –, giocano la palla negli stessi identici spazi? Ovviamente hanno caratteristiche fisiche e tecniche molto differenti, ma la loro forma mentis riguardo ai compiti del centravanti è davvero simile. Entrambi, infatti, vengono a legare i reparti di centrocampo e attacco, accorciano la squadra, lo fanno più volte rispetto ai tentativi di ricerca della profondità.

Quando il Napoli ha deciso di rinnovare il contratto di Mertens, evidentemente aveva già pianificato e metabolizzato l’addio di Milik. Ha scelto di tenere il belga come centravanti (associativo) e di rivolgersi al mercato per acquistare una punta con caratteristiche diverse, un elemento più bravo nell’attacco degli spazi, che allunga la difesa avversaria. L’identikit di Victor Osimhen e/o di Luka Jovic, giocatori completamente diversi da Milik. Così come da Petagna e/o Llorente.

Alla ricerca della qualità (e di alternative)

Torniamo a Napoli-Udinese. La presenza di Mertens e/o di Milik può alimentare dinamiche diverse, ovviamente. Per esempio, il polacco può essere cercato di più con dei palloni alti e sulla figura, con cross dalle fasce che risulterebbero sostanzialmente inutili con Mertens appostato in area avversaria. Ma in una partita come questa, entrambi i giocatori hanno avuto il compito di fare da muro per gli scambi stretti – e di qualità – che il Napoli ha provato per cercare di penetrare nel fortino dell’Udinese. Questo fortino:

Tutti i giocatori della squadra di Gotti sono molto dietro alla linea della palla.

Come detto, alcuni aspetti della strategia del Napoli hanno funzionato, altri invece no. Ecco, gli scambi stretti tentati ripetutamente nella metà campo dell’Udinese (136 passaggi corti nell’ultimo terzo solo nel primo tempo) hanno prodotto solo 5 tiri nello specchio della porta, compreso il gol di Milik. Tra questi, c’è addirittura un colpo di testa di Insigne. Insomma, il Napoli ha tenuto palla per tantissimo tempo (percentuale del 68% a fine gara) ma ha costruito poche occasioni nitide.

Non a caso, viene da dire, il gol di Milik nasce in maniera completamente diversa: ribaltamento del fronte di gioco dopo una rimessa laterale, verticalizzazione immediata da Mario Rui a Insigne e successivo scompenso difensivo dell’Udinese sfruttato benissimo da Fabián Ruiz. Il tocco di Milik a centro area è da puro rapace del gol.

Un lancio lungo per arrivare in area

Il fatto che il Napoli abbia segnato in questo modo non toglie nulla alla validità delle idee di Gattuso – per cui la partita si controlla attraverso il possesso. Effettivamente, proprio tutte le grandi squadre contemporanee sanno gestire il pallone. Per esempio anche il Liverpool di Klopp – che secondo molti commentatori gioca lasciando la palla agli avversari – ha una percentuale di possesso in Premier League pari al 60%. La seconda più alta del campionato inglese. In Champions League, il dato sale fino al 63%.

Semplicemente, però, la rete di Milik mostra come possano – anzi: debbano – esistere delle alternative alla ricerca del gioco nello stretto, soprattutto contro avversari che hanno una diversa consistenza atletica. Non a caso, le due altre grandi occasioni costruite dal Napoli – parliamo della traversa di Zielinski e del gol di Politano – nascono da manovre differenti tra loro: il tiro del polacco viene scoccato dopo un’azione da tre passaggi in verticale, Ospina-Lobotka-Insigne; la conclusione mancina che ha deciso la gara, invece, è un’invenzione personale dell’ex Inter e Sassuolo dopo uno scambio orchestrato bene sulla fascia destra. Per dire: esiste la botta da fuori come soluzione quando non ci sono spazi, come possibilità da pensare dopo una buona costruzione. Anche questo è calcio.

Cos’ha funzionato

Se l’attacco ha lasciato a desiderare, almeno per quanto riguarda il rapporto tra mole di gioca e occasioni nitide create, altri aspetti sono stati soddisfacenti. Innanzitutto, le rotazioni a centrocampo: Fabián Ruiz e Lobotka formano una coppia ormai affiatata, si muovono e si scambiano la posizione con perfetta sincronia, al punto che anche contro l’Udinese lo spagnolo risulta aver toccato più palloni rispetto al compagno (110 a 92) nonostante parta – teoricamente – da una posizione più sfavorevole quando il Napoli inizia l’azione da dietro.

In realtà, la forza di Fabián Ruiz è proprio questa: si muove e sa muoversi per ricevere il pallone. È come se fosse attratto magneticamente dalla sfera. Fa il regista muovendosi, non ricevendo il pallone tra i piedi come ama(va) fare Jorginho, per fare l’esempio di un altro pivote davanti alla difesa che conosciamo o ricordiamo bene. Per lo stesso motivo, l’esperimento di Gattuso al suo arrivo a Napoli – quando decise di schierare l’ex Betis come centromediano in un reparto a tre – ebbe risultati negativi. Per non dire nefasti.

In questo frame, Fabiàn Ruiz si abbassa quasi alla stessa altezza dei centrali difensivi per venire a prendere e ripulire il pallone. Lo scaglionamento con Lobotka e Zielinski è su tre livelli, con il polacco più avanzato rispetto allo slovacco.

Anche la difesa del Napoli ha offerto una buona prestazione. Come si vede nel campetto in basso, il Napoli è riuscito a tenere un baricentro molto alto in fase di non possesso, senza scoprirsi troppo neanche in transizione. Lo dicono i numeri: l’Udinese ha tirato solo 4 volte verso la porta di Ospina; una di queste conclusioni, tra l’altro, è stata respinta da un difensore azzurro. È una buona notizia per Gattuso, che aveva avuto proprio questo grande problema all’inizio della sua avventura azzurra: non riusciva a trovare equilibrio tra le varie fasi di gioco, specie quando portava tanti uomini nella metà campo avversaria.

Numeri eloquenti

Le grandi occasioni concesse all’Udinese sono state il gol di De Paul, il tiro di Lasagna parato da Ospina e il pallonetto di De Paul deviato da Koulibaly sulla traversa. Tutte e tre le azioni si sono originate da palloni in verticale e/o da ripartenze in campo aperto, ma vanno fatte risalire anche a errori individuali o deviazioni sfortunate: sul gol di De Paul, Hysaj esce in maniera avventata su Zeegelaar – su cui c’era Callejón – e poi copre pigramente sulla sovrapposizione dell’esterno olandese; inoltre, un tocco di Koulibaly a centro area mette fuori tempo Mario Rui, in marcatura su Lasagna; le occasioni nella ripresa nascono da un intervento completamente sbagliato di Manolas e da un retropassaggio involontario di Elmas.

Quando si affrontano la fase passiva e/o la transizione negativa con pochi uomini, come in una partita del genere, rimediare a certi episodi, oppure a svarioni individuali, è (molto) più difficile. Va detto, però, che che il Napoli ha difeso in queste condizioni per tutta la partita. E ha concesso pochissimo. Si tratta di un dato che non va sottovalutato, anche se ovviamente Gattuso deve parlare in maniera diversa nel postpartita, cioè deve dirsi «preoccupato dei troppi gol subiti».

Conclusioni

Dal punto di vista tattico, Napoli-Udinese conferma e amplia i temi che stanno caratterizzando questo periodo anomalo – per gli azzurri e per il calcio in generale. Ormai la squadra di Gattuso ha un’identità ben precisa, e possiede pure un buon equilibrio tra le varie fasi, indipendentemente dal tipo di partita che deve giocare. Solo che in alcuni momenti tende a essere ripetitiva, per non dire monotona, in fase offensiva.

Come scritto in questo spazio nelle ultime settimane, Gattuso deve lavorare e sta lavorando per dare maggiore varietà ai meccanismi d’attacco. Certo, le caratteristiche dei giocatori a disposizione incidono molto sulle sue scelte, e non a caso ne abbiamo parlato sopra, nella nostra piccola digressione di mercato – cioè anticipando le differenze tra Osimhen/Jovic e Mertens/Milik. Allo stesso tempo, però, insistere su Callejón e su un certo modo di fare gioco (anche contro l’Udinese il Napoli ha utilizzato la fascia sinistra per costruire il 40% delle sue manovre) è limitante per il futuro. Anche quello a breve termine.

Contro il Barcellona, infatti, il Napoli avrà bisogno di segnare, oltreché di difendersi bene, per poter sperare nella qualificazione. Questo non vuol dire pensare di prepararsi a sfidare Messi e i suoi compagni senza la giusta umiltà, in maniera sfrontata. Ma è vero pure che, ormai, la crescita del Napoli passa dalla scoperta di nuove possibilità offensive. E senza esperimenti – di uomini e di meccanismi – non può esserci scoperta.

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