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Siamo tutti Bocelli, mentre processiamo Bocelli

Mentre condanniamo le scemenze negazioniste del cantante sul coronavirus, ci comportiamo come se la pensassimo come lui: al mare il virus non esiste più, e non ammettiamo cialtronerie che non siano le nostre

Siamo tutti Bocelli, mentre processiamo Bocelli

I due indignati all’ombrellone in fila 14 si accucciolano per indignarsi meglio l’uno sull’altro mentre sullo smartphone di uno dei due Andrea Bocelli sta suicidando la propria credibilità. Il video (questo) è irresistibile, perché propone il cantante che dice cose imbarazzanti su una tragedia mondiale, da un pulpito improbabile: un convegno di nagazionisti (sic) del Coronavirus organizzato al Senato da Vittorio Sgarbi, con Salvini guest star che si fa riprendere mentre rifiuta categoricamente di indossare la mascherina. Un circo progettato apposta per far indignare i due dell’ombrellone in fila 14 e tutto il cucuzzaro social.

Una volta tanto guardare il dito puntato sulla luna, anziché la luna, non è controproducente. Perché non è tanto Bocelli che relativizza la pandemia spiegando che siccome lui non ha amici finiti in terapia intensiva allora non è il caso di farne sta gran tragedia; e non è nemmeno che si autodenunci per aver violato la quarantena in quanto costretto a non poter uscir di casa da innocente, sorvolando sul fatto che la di lui casa è una magione di 140 ettari con piscina eccetera. Il punto sono i due dell’ombrellone in fila 14 che condividono l’alitosi e un possibile contagio mentre schifati commentano Bocelli.

Il punto è che mentre processiamo le scemenze di Bocelli, siamo tutti un po’ Bocelli. Solo che a noi Sgarbi non ci invita ai convegni. Basta farsi una settimana di ferie al mare scampate ai plexiglass (ve li ricordate? quante ore spese a cianciar di nulla mentre altri morivano nelle terapie intensive) per ribaltare tutto il livore che ora riserviamo al tenore – abbandonato evidentemente da un ufficio stampa sano di mente che lo tenesse lontano da quel baratro nel quale stava per cacciarsi.

Parliamo dell’epidemia mentre infrangiamo le regole minime del distanziamento sociale, sol “perché è estate e fa caldo”. In fase di prenotazione abbiamo preteso che gli ombrelloni rispettassero i metri di sicurezza, ma alla seconda ora di svacco eravamo già col mare alle ginocchia a opinare sulle “seconde ondate” con i compagni di spiaggia, chi di Piacenza, chi – poveretto – recluso per mesi nella sua casa a 2 km da Codogno e poi venuto finalmente a rilassarsi in Cilento. E noi con lui, sodali. “Però Bocelli che stronzo!”

Intanto i bambini, di tutti, s’accapigliano giocando a pallone, sudando e starnutendo, a decine. Per prepararsi al prossimo anno scolastico trincerati dietro paratie di plastica asettica mentre ad agosto il virus non li riguarda. Non si ammaleranno loro, non si ammaleranno i loro genitori, tantomeno i poveri nonni (che nel frattempo avranno arrotondato la pensione col bonus babysitter, se vivranno abbastanza per godersi il surplus di spicci statali). Perché è estate. Fa caldo. E’ vacanza. C’è pure chi, in un momento di lucidità sottratta alla calura, azzarda la giustificazione di sistema: facciamo girare i soldi, abbiamo un indotto da salvare.

Ma Bocelli no. Bocelli non rispetta i camion di morti di Bergamo, lui. Lo ascoltiamo dopo esserci sbacettati con tre quarti del lido (ci si vede solo una volta l’anno, eh) e lo sbertucciamo giocando sulla sua cecità. Effettivamente l’idiozia dello sventurato si presta:

E’ una nevrosi censoria che ricalcola i problemi della quarantena su base personale, e sempre moralistica. Non riguarda mai noi, i nostri comportamenti ancor più delle nostre chiacchiere. Buona parte del Paese agisce come se la pensasse esattamente come Bocelli. Si muove nell’illusione che l’incubo dei pomeriggi spesi a panificare sia finito, che le code ai caselli siano il segno che tutto è tornato a fare schifo come prima, a dispetto degli studi degli esperti (i quali ci hanno avvertiti per tempo: sarà un continuo on/off, e quando saremo in fase on ci saremo dimenticati della fase off, perché siamo stupidi). Ma anche gli esperti sono finiti triturati dallo showbiz.

Il parapiglia social per il discorso alla nazione di Bocelli tradisce l’irritabilità dei tempi, che non ammettono cialtroneria che non sia la propria. Il dito puntato è una deformazione attuale, e lo usano tutti: tra quelli che ora lapidano Bocelli ci sono po’ po’ di terrapiattisti, per dirne una. Ma starsene lì a canzonare Bocelli è un riflesso, non possiamo farne a meno. Come non possiamo ritrarci di fronte all’inevitabilità del lettino in riva al mare, delle vasche in infradito in centro la sera, o dell’aperitivo con i Brambilla.

“Mioddio i ragazzi come son cresciuti, e la nonna? Ah, è morta… di Covid. Gesù mi dispiace… l’hai visto il video di Bocelli?”. E’ estate. Fa caldo. Va così.

 

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