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Così nacque “Maradona è megli’e Pelè”: i suoi autori non hanno guadagnato niente

Il Giornale racconta la storia di Campassi e Lanza. La composero in mezz’ora, produssero 35mila copie ma l’industria del falso stritolò tutto: due milioni di copie vendute

Così nacque “Maradona è megli’e Pelè”: i suoi autori non hanno guadagnato niente

Sul Giornale la storia di Emilio Campassi, autore dell’inno a Maradona, «Maradona è megli’e Pelé». Nato a Napoli il 5 marzo 1940 è morto il 14 gennaio 1993 senza vedersi riconosciuti né gloria né soldi per la sua creazione.

Tutto iniziò quando si diffuse la voce che Maradona, il giocatore più forte del mondo, voleva lasciare la Spagna per venire a Napoli.

Emilio Campassi era un musicista appassionato del Napoli.

“Che leggeva tutti i giornali, che amava la squadra come se fosse la musica”.

Lavorava insieme a Bruno Lanza, che di calcio non si interessava affatto, ma che è stato autore di più di settecento canzoni, anche per Bocelli, Ranieri, Cocciante, Califano, Morandi e Dalla.

Campassi andava a trovare Lanza ogni giorno, in piazza Carlo III, con i giornali sotto braccio. Un giorno si recò dall’amico collega e gli disse:

«Lo sai che stiamo comprando Maradona? Non ci posso ancora credere».

L’altro gli rispose:

«Ma chi è questo Maradona?»

Campassi gli spiegò che si trattava del giocatore più forte del mondo e così nacque la loro intuizione.

“Maradona è meglio e Pelè… diventa la risposta e un attimo dopo un mantra, un tormentone, un grido di battaglia consegnato all’eternità”.

All’epoca non c’era ancora certezza dell’arrivo di Maradona a Napoli, solo voci, ma i due decisero comunque di comporre la canzone.

Corrono di corsa al pianoforte del piano di sopra di casa Lanza, probabilmente si sentono due pazzi, e in una mezz’oretta l’Azzurro degli azzurri è pronto. (…) Prima ancora che il Napoli compri Maradona c’è l’audiocassetta che ne canta la grandezza. Due canzoni soltanto: Maradona è megl’e Pelè, appunto, e Tango di Maradona, cover di una canzone argentina”

Campasso e Lanza stampano 35mila copie della cassetta e Lanza le tiene nascoste in casa per quasi un mese. All’annuncio, il 30 giugno 1984, le mandano subito in giro.

“Sembra un’enormità, invece non è niente, sembra l’inizio della fortuna, invece è la fine. La macchina del falso si mette in moto e stritola tutto, anticipa quello che sarà la tecnologia del Duemila, prendere senza pagare, fare i soldi con le idee degli altri. La canzone, facile, orecchiabile, divertente, è un successo spaventoso: due milioni di nastri pirata venduti, cifre che passano il miliardo di lire di incassi, ma non per Campassi e Lanza. Prendono le briciole di ciò che è loro, che non hanno soldi abbastanza per ristampare il loro prodotto, alla fine vincono le bancarelle dei tarocchi. Lanza racconta di aver guadagnato si e no tre milioni di lire e Campassi più o meno uguale. Eppure non c’era mercato dove non si sentisse risuonare le note di quella canzone”.

Più in là, Maradona “lo ingaggiò per comporre una delicata melodia per la prima figlia, Dalma. Veniva invitato a tutte le feste del Napoli, come fosse uno della squadra, e a casa Maradona: era felice anche così. Al contrario di Lanza che più schivo El Pibe non lo ha conosciuto mai, nemmeno quando è tornato dopo anni”.

Dopo il primo scudetto, Campassi ebbe l’idea di incidere una canzone cantata da tutti i giocatori del Napoli, “La favola più bella”. Il figlio racconta che da Londra arrivò la Bbc ad intervistarlo e che volevano fare su di lui e le sue canzoni un docufilm, ma la vittoria dello scudetto da parte del Milan di Sacchi rimandò tutto. Poi Maradona se ne andò e tutto finì così.

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