Dopo Benitez, i primi acquisti che hanno lasciato una traccia sono stati quelli di Ancelotti. In mezzo, il vuoto

Alla vigilia del quinto anno a Torino, il ciclo di Higuaín alla Juve è da considerarsi concluso. Andrea Pirlo l’ha detto nella sua prima conferenza da allenatore della Vecchia Signora e nessuno si è sorpreso per le sue parole. Aurelio De Laurentiis, nello stesso giorno in cui l’ex regista si è espresso sul Pipita, ha annunciato il tanto atteso rinnovo di Zielinski, anche lui alle porte della quinta stagione a Napoli. A che punto sia il ciclo del polacco in azzurro, però, non è chiaro: non è finito, certo, ma non si sa neanche se è iniziato. Qualcuno ha mai pensato di poter dire: “Questo è il Napoli di Piotr”?
Nello spogliatoio del Napoli, cioè in quell’alchimia che trasforma un insieme di professionisti in un gruppo unito negli intenti, c’è un problema e le due dichiarazioni parallele lo spiegano, almeno in parte.
Torniamo a Higuaín. Era il 2016 quando si è trasferito alla Juve. Nei primi due anni è stato protagonista nella vittoria degli scudetti. Non ha spostato gli equilibri in ambito europeo. È finito ai margini del progetto, come si suol dire, con l’arrivo a Vinovo di Ronaldo. Ora è di troppo. I bilanci sono sempre soggettivi, quindi sulla felicità della sua esperienza in bianconero si possono avere idee diverse, anche divergenti. Ne è valsa la pena spendere 90 milioni per lui? Non è questo il punto. Quel che importa è che si vede un percorso, una storia che si è sviluppata e si è conclusa. Un ciclo, appunto.
Nello stesso 2016, con gli stessi 90 milioni, il Napoli ha comprato Zielinski. Non solo: ci ha preso anche Rog, Diawara, Maksimovic e Milik. Ecco, il problema, quattro anni dopo, è che in nessuna delle loro parabole si legge un ciclo. Rog e Diawara sono diventati ex non rimpianti, Maksimovic ha dato un senso alla sua esperienza napoletana solo negli ultimi 18 mesi, per Milik vale un po’ il discorso (al lordo dei due crociati rotti) fatto per Zielinski: sono passate le stagioni, ma la squadra non è mai diventata sua. La neutralità che accompagna la sua imminente cessione lo dimostra.
Ecco, negli ultimi mesi ci siamo abituati a sentir dire che il Napoli ha sofferto la fine del ciclo beniteziano. Non c’è solo questo. Dal punto di vista tattico e relazionale, il Napoli ha sofferto anche l’aborto del ciclo del 2016: gli splendidi ragazzi pieni di prospettive sono rimasti tali, senza che dal gruppo emergessero leader e campioni. Non sarà tutta colpa loro. C’entreranno la dirigenza, i tecnici che si sono susseguiti, i fortuiti incidenti di percorso. Non si possono sottovalutare le responsabilità di quei colleghi appena più adulti, cioè Insigne, Koulibaly e Allan, che sono franati in paturnie proprie. Ma rimangono le conclusioni: giocatori che ora dovrebbero essere nello splendore della maturità, sono ancora opalescenti, difficili da inquadrare.
La questione si è replicata nelle sessioni di mercato immediatamente successive all’estate 2016: bisogna saltare agli acquisti di Fabian nel 2018 e Di Lorenzo e Manolas nel 2019 per vedere l’innesto di giocatori che valgono un ciclo, che non sono solo un complemento della rosa. Se il Napoli oggi si trova a dover ricostruire dipende anche da questo: Albiol e Hamsik se ne sono andati, mentre Mertens e Callejòn si sono fatti vecchi, ma i giovani intorno a loro non si sono rilevati in grado di prenderne il posto. Non hanno aperto un ciclo, figurarsi se l’hanno chiuso.