Nessun distanziamento in spiaggia, la sera la movida impera. Nessuno sa del modulo di autocertificazione e nei locali la mascherina è spesso un optional
Due giorni di vacanza in Puglia e ti rendi conto di quanto sia incontenibile, ormai, la diffusione del virus in questo scorcio di fine estate, tra bagnanti e vacanzieri.
Dal 3 giugno scorso, chiunque arrivi in Puglia da altre regioni o dall’estero ha l’obbligo di autodichiarare il proprio ingresso in regione, di indicare il luogo in cui soggiorna e di conservare per almeno trenta giorni l’elenco dei luoghi visitati e delle persone frequentate durante il soggiorno. Lo ha stabilito, con un’apposita ordinanza, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano.
L’ho fatto anche io, dopo aver scelto la Puglia come meta per una vacanza mordi e fuggi. Due giorni tra Trani e il Gargano.
Dell’ordinanza ho appreso per caso, vagando sul web alla ricerca di una sistemazione. Non è messa in bella vista sulle pagine istituzionali. E infatti – lo so per certo – molti amici che si sono recati in Puglia prima di me non hanno dichiarato la loro presenza.
Individuata la struttura in cui alloggiare, ho chiesto lumi circa il modulo di autodichiarazione. Il B&B che mi ha ospitata non ne conosceva l’esistenza. La proprietaria ha dovuto documentarsi, prima di darmi conferma della necessità di compilarlo e inviarmi il link apposito. Ho compilato la domanda, che prevede una procedura abbastanza agevole: può essere fatto tutto online, mediante un sistema di generazione automatica di un pdf da inviare poi via mail all’Asl della provincia in cui si decide di alloggiare. Spedito il modulo, a due giorni dall’arrivo in Puglia, non ho mai ricevuto nemmeno la ricevuta di conferma della lettura della mail. E la domanda sorge spontanea: quanti turisti avranno davvero compilato l’autocertificazione, visto che neanche le strutture ricettive ne sono a conoscenza?
Ma andiamo avanti.
All’arrivo a Trani, nel b&b scelto, la proprietaria mi ha accolta, manco a dirlo, senza mascherina. Solo dopo almeno 15 minuti di amabile colloquio con la mia famiglia (tutti indossavamo il dispositivo di protezione), ha ricordato che esiste l’obbligo di portarla nei luoghi chiusi (e non solo) e l’ha indossata.
Ora di pranzo, usciamo per visitare la cittadina. Tappa obbligata: il porto turistico. Vi troviamo centinaia di giovani seduti ai tavolini degli innumerevoli bar e ristoranti all’aperto. Tutti senza mascherina, sia all’interno dei locali che in strada, ammassati come granelli di sabbia sul bagnasciuga.
Nei locali, i camerieri indossano tutti le mascherine, molti, tuttavia, la portano sotto il mento. Sono pochissimi quelli che la indossano correttamente. Nessun gestore che dia il buon esempio.
Gel igienizzante all’ingresso di ogni locale, questo sì, ma nessuna restrizione per il numero di persone all’interno, né fuori. Nessuna distanza tra i tavolini, nessun controllo da parte delle forze dell’ordine. Abbiamo consumato un pasto veloce sui tavolini di appoggio di un panificio: ci siamo dovuti disinfettare da noi la superficie su cui poggiarci (l’alcol ce lo ha fornito il negoziante solo perché abbiamo insistito che su un tavolo lasciato in quelle condizioni da chi ci aveva preceduti non si poteva mangiare nemmeno in tempi normali, figuriamoci con il Covid nell’aria).
La sera, la scena è diventata ancora più grottesca. Abbiamo prenotato un tavolo in uno dei tanti ristoranti leggermente defilati dal Porto, ma sempre al centro. Ci sediamo e notiamo che tra i tavoli non c’è alcun distanziamento. Anzi, ce ne sono due a distanza di pochi centimetri l’uno dall’altro. Il gestore ci porta al tavolo un modulo da compilare con le nostre generalità: nessuna richiesta di documento di identità, avremmo potuto scrivere qualsiasi nome di fantasia, nessuno se ne sarebbe accorto. Il gestore, tra l’altro, si è quasi scusato del fatto che ci chiedeva di compilare il modulo: “Ci chiedono di farlo”, ha detto, scrollando le spalle. Mentre il bollettino giornaliero dei contagi, due giorni fa, contava già più di 800 casi in Italia. Neanche a dirlo: niente misurazione della temperatura. Da nessuna parte. In Puglia, evidentemente, i termoscanner non esistono.
Terminata la cena, decidiamo di fare due passi sul lungomare. Ci affacciamo sulla piazza e… di fronte a noi vediamo una muraglia umana di ragazzi. Ammassati, ammucchiati, assembrati come se non ci fosse un domani, con ampio scambio di bicchieri, bottiglie e sigarette. Un’auto dei carabinieri costeggia la folla senza battere ciglio. Passa dritto, semplicemente. Nemmeno un richiamo ad evitare la bolgia.
Scegliamo di nasconderci in una gelateria persa nei vicoli della bellissima cittadina di pietra bianca. Anche qui ci sediamo e nessuno ci chiede di dichiarare le nostre generalità, e neppure di indossare la mascherina. Sembra un optional, un accessorio di moda, portata al braccio, tipo pochette, o foulard.
Decidiamo, ovviamente, di tornare alla base, nel b&b e di chiuderci dentro.
Per il giorno dopo abbiamo in programma qualche ora al mare. Direzione Gargano: Mattinata. Due ore di giro tra i lidi per trovarne uno in cui la gente non fosse ammassata. Altro che metro di distanza tra gli ombrelloni. In Puglia si sta vicini vicini, diciamo a distanza di 10 centimetri l’uno dall’altro. Un tappeto umano di bagnanti tra i fumi del sole rovente e quelli delle sigarette accese tra gli ombrelloni. E’ come se, qui, il Covid non fosse mai esistito. Una situazione grottesca perché tutti gli stabilimenti mostrano in bella vista cartelli che invitano al metro di distanza tra i clienti ma piantano ombrelloni in ogni triangolino di spiaggia utile.
Dopo due ore in macchina scartando ad uno ad uno i lidi del litorale perché invivibili, senza alcuna misura anticovid, ne scegliamo uno più defilato. Qui la serenità si paga. A parte l’ingresso, comunque in media rispetto agli altri lidi attorno (25 euro un ombrellone e due lettini), c’è meno gente perché i gestori impongono l’ingresso solo se si resta a pranzo (ad un costo ovviamente esorbitante). Poco male: il cibo è buono, la location perfetta, ma la proprietaria si aggira tra i tavoli senza mascherina, non ci fa compilare nemmeno un modulo con le nostre generalità, non prende un nome né un numero di telefono. Il cameriere che smista gli spaghetti allo scoglio nei piatti non indossa la mascherina, dunque nei piatti potrebbe finire di tutto. Non ho visto un cliente cospargersi il gel igienizzante sulle mani, nessuno che imponesse di raggiungere i tavoli indossando il dispositivo di protezione. Ma la maglietta sì, quella è obbligatoria, per decoro.
In definitiva, il mio ingresso in Puglia, anche se sono stata obbligata ad autodichiararlo per ordinanza, è equiparabile a quello di un fantasma. Nessuno saprà mai quali locali ho visitato, le spiagge dove sono stata, i ristoranti dove ho pranzato o cenato. Impossibile conservare traccia delle persone con cui sono entrata in contatto visto che sono stata costretta a schivare gente come mosche, anche per strada. Intanto i contagi, ieri, hanno superato quota 900. In Puglia sono stati 35. Ma c’è da scommettere che se si facesse uno screening più minuzioso tra i turisti il dato salirebbe almeno ad un centinaio.
Ad inizio agosto, il governatore della Puglia, Emiliano, dichiarava:
«I controlli ci sono, sono efficaci ma è necessario intensificarli soprattutto su spiagge libere, movida e in tutti quei luoghi dove non c’è controllo specifico e noi non siamo in condizione di sapere se qualcuno ha la febbre, se ha la tosse e non abbiamo un elenco di chi entra e chi esce».
Ed aggiungeva:
«È bene che voi sappiate che da presidente di Regione non ho il potere di «chiudere» i confini della Regione, come alcuni di voi chiedono, perché in questa materia lo Stato italiano ha competenza esclusiva».
Ed ancora:
«Questa contro il coronavirus è una guerra di lungo periodo, dobbiamo imparare a vivere nelle condizioni più vicine possibili alla normalità, sostenendo la nostra economia e la sopravvivenza sociale di milioni di pugliesi, ma adottando regole di prevenzione ferree. In tanti si comportano correttamente e con senso di responsabilità e a loro dico grazie, fate bene. C’è però un convincimento sbagliato da parte di molte altre persone che il rischio sia passato: non è così perché siamo ancora nel pieno della pandemia».
In questa calda estate Michele Emiliano ha parlato pochissimo. Evidentemente deve essersi accorto anche lui del fatto che qualcosa, nella sua regione, proprio non funziona per il verso giusto, in tempi di pandemia.
Dice di non poter chiudere. Assicura che i controlli ci sono. Se la prende con chi sottovaluta il rischio Covid. Ma come può essere ricondotto tutto ad un semplice problema di irresponsabilità da parte dei turisti? Come si fa a chiedere ai buoi di restare nella stalla se i cancelli sono stati sradicati dalle stesse istituzioni? Forse il convincimento che tutto sia finito riguarda soprattutto i gestori di strutture ricettive, ristoranti e lidi pugliesi. Emiliano farebbe bene a fare controlli su quelli. Come si fa del resto a biasimarli? Dopo mesi di lockdown hanno intravisto il guadagno facile e in mancanza di controlli accurati – quelli di cui parla il governatore – hanno autorizzato tutti a fare tutto.
Dare addosso ai comportamenti irresponsabili dei ragazzi è come il bue che dà del cornuto all’asino. Altro che messaggi imprecisi dati ai giovani. Le indicazioni che arrivano dalle strutture pugliesi aperte per l’estate è quella di un tana libera tutti. Perché un ragazzo tra i 20 e i 30 anni dovrebbe essere più responsabile di un governatore di Regione che lascia che sul proprio territorio ognuno faccia quello che gli pare?