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Diamo un colpo alla terza Camera del Paese, le chat delle mamme: riapriamo le scuole

Si è aperto di tutto, dalle discoteche al calcetto, l’unica attività ferma è quella che ci assicura il futuro. Procediamo, con tutti i rischi del caso

Diamo un colpo alla terza Camera del Paese, le chat delle mamme: riapriamo le scuole

Ci chiederemo, un giorno, “ti ricordi dov’eri il 24 settembre 2020?”. Alcuni di noi hanno già cominciato ad appuntarselo per il racconto da tramandare ai nipotini: quando i miei pargoli rientrarono a scuola in piena pandemia io ero lì, assiepato al bar dirimpetto con altre centinaia di genitori sudati, a guardarli partire come evidentemente i nostri bisnonni avevano fatto per i primogeniti spediti al fronte.

Nella Repubblica Indipendente delle Mamme (con la maiuscola vale come categoria includente senza genere, ci sono anche i papà, non v’offendete) quel portone che riapre davanti al trenino ordinato di bambini in mascherina segna un tempo (tipo il nine-eleven americano), ma anche una sconfitta politica. E’ uno smacco a quella che s’illude d’essere la terza camera dello Stato, la cameretta. Tetrabyte di chat di gruppo in auto-fomentazione costante che d’isteria in isteria scrivono e sovrascrivono la propria Costituzione fatta di ansie, preoccupazioni spicciole, principi irrinunciabili, tecnicismi infiniti, superate da una decisione del governo: dopo le discoteche e prima degli stadi, ebbene sì, è arrivato il ferale momento di far ripartire l’istruzione.

Il “come” – un po’ fantozziano – l’ha descritto molto bene Ilaria Puglia, suggerendo però una prudenziale attesa dei prossimi eventi prima di ridare i nostri figli in pasto al contagio eventuale. Una visione comprensibile, ma reazionaria. Che di fatto aveva già mosso l’inazione del governo per lunghissimi sei mesi, spesi a traccheggiare sui banchi con le rotelle, mentre il paese tutto difendeva l’unico vero diritto inalienabile di ogni italiano: il diritto alla villeggiatura. Le stesse Mamme con la maiuscola hanno canticchiato in spiaggia il tormentone dell’estate karaoke e guantanamera, l’inno alla gioia mandato a tutto volume “in una piazza piena”. “Per fare tutto quello che non si poteva”.

Tornati a casa, rimesse le mani in chat, s’è capito che “tutto quello che non si poteva” era solo tornare in classe. Il mondo esterno ha ripreso a girare senza tema d’unzione più o meno forsennatamente come prima: metropolitane zeppe, assembramenti ai giardinetti, il rito del doppio bacetto che resiste anche alla gomitata regolamentare. E i ragazzini – gli stessi che perdinci dobbiamo salvare dal virus a trasmissione scolare – se ne stanno sulle panchine a limonare, i più piccoli a spintonarsi sputacchiando sugli altri tutta la gioia d’esser fanciulli. Con i genitori lì, muti, con lo sguardo rapito dai social ad azzuffarsi sulla perizia del bidello nell’usare il termoscanner.

Tutto ma la scuola no. A scuola ci si infetta, poi torni a casa e ammazzi il nonno (che intanto ha intascato il bonus babysitter).

Il caos organizzativo col quale siamo arrivati alla fatidica data giustifica (siamo tutti d’accordo) la mancanza di fiducia nel decisore, gli organi che avrebbero avuto tutto il tempo per pensare e costruire la ripartenza “sicura” (per quanto possibile) del caposaldo di ogni stato civile. Ma le suddette Mamme, in difetto d’autocensura, si sono avviluppate in un centrifugato di dubbi e polemiche senza un punto d’arrivo che non sia “teniamoceli a casa, al sicuro dal droplet”.

All’estero – di cui ora non possiamo abusare perché i numeri ci dicono che stanno peggio di noi – le scuole sono rimaste al primo posto dell’agenda, fin da aprile: le hanno riavviate a luglio, ad agosto, senza farsi troppo il problema dell’ombrellone già prenotato in fila 15. Di più, le hanno considerate un luogo sensibile, un posto dove il rischio sanitario se la gioca con l’impossibilità di rinunciare alle fondamenta del futuro: lo studio, l’istruzione. Val la pena provarci. Sbattersi. Fare le cose perbene per evitare che le classi si trasformino in ulteriori focolai. Ma la rinuncia mai.

Se al potere salissero davvero le Mamme, la scuola sarebbe già crollata in era pre-Covid. A colpi d’indignazione per la carta igienica che manca, per la maestra che s’intestardisce a non concepire l’intelligenza speciale della prole, per la mensa troppo industriale eccetera eccetera. Abbattuta a botte di like, pollici su, faccine arrossate, “buongiornissimo caffè?”.

Aspettiamo altri due mesi, è l’ipotesi, vediamo se la prima linea – gli eroi imberbi delle private e delle parificate – s’infetta, decidiamo in funzione del sacrificio delle creature altrui. Ma in un contesto di sperpero infinito, dopo mesi e mesi di ridicola inerzia, cosa risolvono altri due mesi di “dad”? Tanto vale prendere posizione al bar, come al patibolo, salutare i figli pregandoli di scrivere, di farci sapere se respirano, tranquillizzarli che andrà tutto bene. Che poi si va al calcetto, di pomeriggio.

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