L’ingresso dei private equity. Adl, col suo progetto troppo ambizioso, ha fatto alzare l’offerta e convinto gli ultimi scettici. In otto mesi, Dal Pino ha stravolto tutto
Il 9 settembre 2020 è una data spartiacque per il calcio italiano. È la fine della Prima Repubblica calcistica. Ma stavolta è difficile che col tempo ci sarà chi rimpiangerà i vecchi tempi. Anche perché questo passaggio non è stato indotto. Non ci sono stati agenti esterni. L’Italia del pallone ha scelto di mettersi sul mercato. Una decisione rivoluzionaria. Per certi versi tardiva, ma ciascun processo ha le sue tappe per arrivare alla consapevolezza. Forse un agente esterno che ha contribuito ad accelerare il fenomeno, c’è stato: il Covid-19 che ha fatto aprire agli occhi ai signori dell’industria calcistica, ha fatto sì che scendessero sulla terra e si misurassero con la realtà.
Sparisce in Italia la gestione economico-finanzaria dei diritti tv così come l’abbiamo vissuta. Sparisce la parola monopolio. La vecchia asta che peraltro aveva uno strano sapore di mercato. Nemmeno Sky si è battuta per conservare lo status quo. Il futuro del calcio è nebuloso, ieri Agnelli all’Eca ha parlato di contrazione tra il venti e il trenta per cento. Nessuno ha le idee chiare ed è impossibile stabilire quanto il calcio varrà tra tre-cinque anni.
Si entra nel futuro. La Lega Serie A ha votato per l’avvento dei private equity nella media company che gestirà i diritti televisivi e commerciali. I presidenti ancora non hanno stabilito a quale fondo affidarsi: i favoriti sono quelli che fanno capo a Cvc, Advent e Fsi (da 1,625 miliardi per il 10%) e dal duo Bain-Nb Renaissance (1,35 miliardi sempre per il 10%). Si voterà più avanti. Il principio è lo stesso. Il prodotto Serie A sarà in vendita e potranno acquistarlo Sky così come tanti altri e venderlo ai propri utenti.
Oggi il calcio italiano incassa in tutto circa 1,2 miliardi tra Sky Dazn e la quota di 330 milioni derivante dall’estero. Il private equity favorito verserà da subito – dalla stagione 2021-2022 – 1,6 miliardi. Siamo già trecento milioni sopra, senza dimenticare che la quota di Sky non è stata ancora totalmente versata.
Ipocritamente, la Lega Serie A ha votato all’unanimità per questa svolta. In realtà è una unanimità di facciata. Il vero, grande, sconfitto, è Claudio Lotito fermamente contrario alla svolta di mercato. Anche perché l’ingresso dei fondi comporta la condivisione della governance affidata alla media company: Lega Serie A più private equity. Addio alla gestione privatistica del pallone.
Lotito ha provato in ogni modo a respingere l’ingresso dei fondi. E a conservare il potere della vecchia politica. Più di qualcuno sostiene che il desiderio era quello di far saltare tutto e riportare in corsa Bogarelli e MediaPro. Proprio nel giorno in cui – finalmente per lui – Lotito è diventato senatore (è stato accettato il ricorso).
Quando ha capito che la mozione “private equity” sarebbe passata con 14 voti, Lotito ha convogliato il suo e altri pochi voti e ha deciso di non mettere agli atti la presenza di una minoranza. Che invece c’era eccome.
È stata una sconfitta importante per Lotito che certifica il suo indebolimento nel Palazzo del calcio. Non ha compreso che i tempi sono cambiati. Che la strada fin qui seguita, non ha futuro.
Tra i vincitori c’è senz’altro Aurelio De Laurentiis il cui progetto era lo stesso dei private equity, con la differenza che in linea teorica avrebbe desiderato gestire la media company in proprio. Sapeva perfettamente che sarebbe stato impossibile. I presidenti di Serie A non sono ancora pronti. La sua “terza via”, però, ha fatto comprendere a molti colleghi titubanti che non c’era altra scelta: bisognava cambiare. E ha indotto anche i fondi ad alzare le loro offerte: dettaglio tutt’altro che irrilevante.
De Laurentiis ha reso chiaro a tutti che il sistema era obsoleto. Le due riunioni convocate con i presidenti, a Roma, hanno chiarito anche ai dubbiosi che non c’erano altre soluzioni. Per ora, quella dei fondi è la meno rischiosa. In futuro, se la Serie A dovesse diventare quel che il presidente Dal Pino si augura, il progetto De Laurentiis potrebbe riprendere quota.
L’altro vincitore, ovviamente, è Dal Pino che in pochi mesi è riuscito a proiettare il calcio italiano avanti di vent’anni. E per un presidente che appena otto mesi fu eletto senza il voto della Juventus (in tutto 12 voti), è impresa a dir poco ragguardevole.