Sul Giornale. Il primo calciatore ad aver segnato con tre nazionali diverse. Ad un cronista disse: «Ogni occasione dovrebbe trasformarsi in un gol. Se avevo cinque occasioni facevo cinque gol, se ne avevo sette ne segnavo sette»

Sul Giornale la storia di Josef Bican, detto Pepi, calciatore austriaco perseguitato dai nazisti e poi dai comunisti. Solo i regimi riuscirono a fermarlo. Nato a Vienna il 25 settembre 1913, è stato il più grande marcatore di tutti i tempi, con 805 gol in gare ufficiali e 1468 reti, comprese le amichevoli. Anche se, scrive il quotidiano, qualcuno dice che ne ha realizzate più di 5000.
Quando aveva otto anni perse il padre, operaio e calciatore dell’Herta. In un contrasto di gioco nel derby contro il Rapid gli spappolarono un rene che poi gli andò in cancrena. Non si volle operare e morì a 30 anni. La famiglia, già povera, lo diventò ancora di più.
Pepi, secondo di tre figli, gioca a calcio scalzo, prima nelle giovanili dello Schustek, poi nel Farbenlutz. E’ talmente bravo che a 18 ani proprio il Rapid Vienna gli offre un contratto da professionista. Lui non accetta, perché quella è la squadra che gli ha ammazzato il padre. Ma interviene sua madre, che lo costringe a firmare, visto che è il club più importante della Nazione.
Al Rapid impressiona tutti. In pochi mesi il suo stipendio cresce a dismisura, come anche i suoi estimatori. A 20 anni esordisce nella nazionale austriaca.
“Gioca il Mondiale del ’34 in Italia, l’SK Admira Vienna gli offre un ingaggio stratosferico, firma, non vedeva l’ora di lasciare il Rapid, rivince il campionato, titolo di cannoniere sempre suo. Fenomeno, i dirigenti dell’Admira finita la partita chiudono i cancelli e mezz’ora dopo li riaprono con un nuovo ingresso a pagamento per vederlo mentre mette in fila le bottiglie sulla traversa e le colpisce una ad una da fuori area”.
Ma quelli del Rapid non gli perdonano l’addio e, per punirlo, mettono su una campagna denigratoria.
“Lo chiamano “Il Cinico” e in campo lo menano senza ritegno”.
A difenderlo è la mamma
“che lo segue su tutti i campi, è la sua guardia del corpo, elude la sorveglianza e prende a ombrellate chi gli picchia il figlio, non vuole faccia la stessa fine del padre”.
Ma c’è la politica a mettersi in mezzo. La Germania annette l’Austria. Pepi non accetta di giocare per la nazionale di Hitler e scappa allo Slavia Praga. Il regime nazista, però, non gli dà tregua e appellandosi ad un cavillo burocratico gli impedisce di giocare con la nazionale il Mondiale del ’38 in Francia. Pepi si rivolge ad un avvocato, la spunta, ma spende un sacco di soldi. Alla fine, però, esordisce nella Nazionale della Cecoslovacchia il 7 agosto 1938 e segna una tripletta alla Svezia.
Quando cambiano i confini europei della carta geografica, Bican indossa la maglia del Protettorato di Boemia e Moravia. Il 12 novembre 1939 affronta la Germania. La partita finisce 4-4 con tre gol suoi e lui diventa il primo calciatore ad aver segnato con tre nazionali diverse. Ma anche il calciatore più perseguitato dai regimi.
Nel 1948 la Juve gli propone di ingaggiarlo ma alcuni amici lo informano che in Italia le elezioni saranno vinte dai comunisti. Pepi sale sul treno per Torino ma quando arriva al confine ci ripensa, scende e torna in Cecoslovacchia. Ma le cose peggiorano. I comunisti prendono il potere, lui rifiuta di aderire al partito e gli viene sequestrato tutto ciò che possiede, anche la casa.
Firma per il Sokol Vítkovice Železárny delle acciaierie di Ostrava, la squadra degli operai. Ma non va ancora bene, è troppo popolare, deve passare più nell’ombra, scomparire dai giornali per trovare pace. E allora si trasferisce in seconda divisione allo Škoda Hradec Králové. E’ la fine.
“Riceve l’invito a partecipare alla parata del Primo Maggio, rifiuta, caricato a forza su un treno, espulso da Praga. I tifosi accerchiano la locomotiva, non la fanno partire, minacciano uno sciopero generale, finimondo, Pepi si sporge dal finestrino e li convince a liberare le tre guardie che lo scortano: Se non vi calmate mi danno vent’anni di carcere, grida. Ma è costretto a lasciare anche lo Škoda per la sua fama di uomo libero. Altra causa, la vince, rientra a Praga, torna allo Slavia che adesso si chiama Dynamo, trionfa, segna, ma ormai ha 42 anni, basta Pepi, adesso basta prendere botte e scappare, che vadano tutti al diavolo, povero eri e povero sei tornato. O no?“.
Nel 1955 il governo gli trova un lavoro da operaio alla stazione ferroviaria di Holešovice. Ad un cronista, un giorno, ha detto:
«Ho sentito tante volte la teoria secondo la quale era più facile segnare ai miei tempi ma le occasioni sono sempre le stesse e così sarà tra cento anni. Tutti dovrebbero concordare sul fatto che ogni occasione dovrebbe trasformarsi in un gol. Se avevo cinque occasioni facevo cinque gol, se ne avevo sette ne segnavo sette».