Lo scrittore tifoso su Avvenire: «Tifare Toffees è un percorso spirituale nell’umiliazione. Ora che compriamo i giocatori dal Real e dal Napoli, non ci ritroviamo più”
Tobias Jones è uno scrittore inglese che vive in Italia da molti anni, dove è famoso soprattutto per un libro sugli ultras. Ma oltre ad essere una di quelle penne che riescono a raccontare il calcio viscerale facendone letteratura è un tifoso dell’Everton. Un tifoso “nervoso”, perché ha alimentato la sua intera esistenza da ultras nel culto “quasi cristiano” della sconfitta. Tifare per l’Everton, dice, è sempre stata una tragedia. Ma ora che c’è Ancelotti cambia tutto. E cambia anche lo stessa natura del tifoso: non sa proprio come comportarsi, non è abituato ai sogni.
Jones ci ha scritto un pezzo per l’Avvenire, su questo smarrimento intimo. Nel quale confessa lo straniamento nel ritrovarsi primo in Premier League dopo aver battuto il Tottenham di José Mourinho e una goleada. “Questo non è l’Everton che conosco, per niente. Noi siamo famosi per le beffe e per la fragilità mentale”.
Jones scrive di tifare Toffees da più di quarant’anni, “e quindi sono abituato alle sofferenze, alle ingiustizie e alle sfighe demenziali”. Le elenca tutte. E cita un suo “collega” più famoso, scrittore-tifoso dell’Arsenal, Nick Hornby:
«lo stato naturale del tifoso è l’aspra delusione… siamo segretamente convinti che nessun’altra tifoseria capisca perché noi siamo stati colpiti più di tutti gli altri».
Ma Jones lo scrive meglio:
“Essere un tifoso dell’Everton è un percorso spirituale: sei ferito, umiliato, preso in giro, sacrificato, e con gli anni cominci ad imparare lo stoicismo e l’umorismo macabro. Stranamente, come tifoso, ci prendi quasi gusto. Sei confortato dalla palese esistenza del destino: palese perché, intanto che ti schiaccia, premia sempre il rivale”.
Scrive che “forse la tifoseria italiana che più ci potrebbe capire è quella del Toro“: “Anche loro, sembra, godono di questo masochismo: se non ci fosse stata una Juventus i tifosi del Torino se la sarebbero inventata, per soffrire al meglio e intanto sentirsi sempre tesi e affilati e inferiori di una inferiorità di tipo evangelico: sacra, santa, quella dei poveri”.
Essere tifosi del genere, di squadre sempre umiliate, dice “diventa metafisico”.
“Negli anni ho passato tanto tempo – per vari motivi – sugli spalti con i tifosi del Cosenza e del Parma, e tutte e due le tifoserie mi dicevano spesso che il gusto di tifare la squadra quando è scesa in Serie D rende il tifo molto più profondo. La lealtà e il sacrificio si vedono quando segui i cosiddetti perdenti”.
L’ Everton tra l’altro “si fa chiamare «la squadra del popolo» e ci sentiamo davvero dalla parte dell’escluso e del diseredato”. “Anche se perdiamo sempre contro i rivali, noi ci sentiamo i veri tifosi. Come tutti i profeti, siamo ignorati e denigrati. Per noi non avrebbe gusto tifare il codice a barre della Juventus, oppure i tangheri del Liverpool, perché vincono sempre loro. Non hanno idea del lato metafisico del tifo“.
Poi arriva al punto: Ancelotti. “Devo ammettere che sono nervoso. L’idea che abbiamo un allenatore vincente, che compriamo gioielli dal Real Madrid e dal Napoli, che potremmo addirittura sognare di uscire dall’ombra degli “sporchi rossi”, compromette la mia narrattiva personale e collettiva. Abbiamo un mitico allenatore italiano che forse – dopo la famosa rimonta di Istanbul nel 2005, quando il suo Milan perse – ce l’ha con il Liverpool quasi quanto noi”.
“Va tutto benone, ma sono nervoso: non saprei più chi sono veramente se l’Everton dovesse cominciare a vincere”.