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Evenepoel racconta la terribile caduta: «Sapevo del pericolo, il corpo si è rifiutato di fare la curva»

A L’Equipe parla dell’incidente al Lombardia: «Mi dicevo “se cadi lì, è finita. Ma ero paralizzato, il cervello non rispondeva ai comandi»

Evenepoel racconta la terribile caduta: «Sapevo del pericolo, il corpo si è rifiutato di fare la curva»

La sua caduta, al Giro di Lombardia, scosse il ciclismo, e non solo. Cadde da un ponte e si ruppe il bacino. Remco Evenepoel, 20 anni, ben più di una promessa del ciclismo mondiale, sta completando la sua riabilitazione. È persino riuscito a risalire in bicicletta. A L’Equipe parla del suo incidente.

«Ricordo tutto della caduta. Mi vedo ancora in testa nella discesa di Sormano prima di mettermi dietro gli altri una volta arrivati su un falso piano. Volevo recuperare un po’ e non sforzarmi troppo perché sapevo cosa aspettava prima dell’arrivo. E poi Nibali ha accelerato, tutti sono andati in fila indiana dietro di lui. Mi sentivo a mio agio, ho iniziato a pensare alle due curve pericolose che si avvicinano prima del ponte. Vedevo anche sul Gps che erano sempre più vicine. Ricordo che ho iniziato a pensare molto. Era come se mi dicessi:” stai attento, se cadi lì, è finita.”

Dalla cima del muro, ho pensato solo a quelle due curve pericolose. Quando siamo arrivati lì, ho avuto un po’ di panico. Non so ancora come spiegarlo. Era una sensazione strana, come se fossi improvvisamente paralizzato. Tutto si è bloccato, non ero più padrone della bicicletta. Sono riuscito a passare bene la prima curva a destra, ero ben in linea, ma per la seconda a sinistra è come se il mio corpo e il mio cervello avessero dimenticato il riflesso di girare. È stato davvero strano, ero totalmente cosciente ma allo stesso tempo il mio corpo si rifiutava di prendere la curva.

Hai rivisto il filmato?

Non ce ne sono molti, solo riprese dall’elicottero proprio al momento della caduta. Non si vedono le due curve precedenti. Forse mi è mancata la fiducia quando ho perso la scia dei ciclisti che erano davanti a me. Ho perso un po’ di terreno e ho dovuto prendere troppi rischi per non essere staccato. Ho preso il muro con la mia gamba destra, cinque centimetri più a sinistra e sarei  passato.

Non ho mai perso conoscenza. Ricordo quando sono atterrato in fondo al muro e lo sforzo per respirare. Per i primi secondi non riuscivo a muovermi, stavo soffocando. Non mi sono fatto prendere dal panico, ma ho pensato che non fosse nulla di buono. Per fortuna è arrivato rapidamente un medico, mi ha mostrato i primi gesti del Soccorso, mi ha fatto muovere le dita delle mani e dei piedi. In quel momento mi sono detto che tutto stava funzionando bene. Vedevo, sentivo, rispondevo alle domande.

Non ho mai pensato alla morte, nemmeno quando ero sdraiato nel burrone. Ho subito cercato di immaginare quando sarei tornato in bicicletta. La mia fortuna è di essere ancora molto giovane, penso che un trentenne avrebbe terminato lì la sua carriera.

La caduta ha cambiato il mio modo di affrontare la mia vita quotidiana. Mi rendo conto che mi concentro di più su piccoli dettagli che, prima di questo autunno, non mi interessavano. Non pensavo che mi sarei mai posto così tante domande sulla felicità di mangiare una torta la domenica pomeriggio dopo una gita di allenamento. Mi rendo conto che oggi non dico più: “devo andare ad allenarmi “ma piuttosto” voglio andare ad allenarmi”. Anche in bici, sento una sensazione che non sapevo. Quello di vivere, molto semplicemente.

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