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Il Guardian: senza tifosi allo stadio il business del calcio vive benissimo

“Con la pandemia è cambiato tutto. Il calcio da remoto è diventato un circo che va avanti mentre il mondo brucia. E i top club non hanno più bisogno di tifosi allo stadio o dei campionati minori”

Il Guardian: senza tifosi allo stadio il business del calcio vive benissimo

“Benvenuti nel calcio del 2020, un’industria che potrebbe aver appena raggiunto il suo punto di svolta, pronta per la discesa in un cambiamento improvviso, radicale, distopico. E sta avvenendo ora, in questo momento, live”.

Solo che non ce accorgiamo, scrive Barnay Ronay sul Guardian. Abbiamo ancora questa idea che il calcio negli ultimi 25 anni sia cambiato in maniera strutturale, ma non ci rendiamo di quanto la pandemia abbia rotto con il passato. Soprattutto dal punto di vista del nostro rapporto con la sua fruizione. Checché se ne dica, gli spettatori non servono più a niente.

Ci siamo distratti, scrive l’editorialista, presi da cose più urgenti. Tipo un virus che uccide la gente.

“All’ultimo congresso della Fifa Gianni Infantino – che sembra aver passato gli ultimi otto mesi a sforzarsi di mantenere un’espressione di grave preoccupazione mentre segretamente avrebbe desiderato vantarsi del suo nuovissimo jetpack – ha parlato di reinventare completamente il calendario mondiale del calcio, spostando ogni competizione in un periodo di tempo distinto, prima di annoiarci un po’ e parlare invece di qualche altra visione di follia dittatoriale. A nessuno sembrava importare. Ok, Gianni. Vai avanti. Ora, se vuoi scusarmi, il mondo è in fiamme e il mio deltaplano sembra schiantarsi in un lago di olio bollente”.

Per il Guardian negli ultimi anni “il calcio si è contraddistinto per le sue stesse ossessioni rituali, per le linee che non possono essere superate, per il senso di sé come qualcosa di nobile e protetto”. Beh, è finita.

Parliamo di tifosi. “Il calcio è niente senza il pubblico allo stadio” è diventato un mantra per inseguire il quale si stanno forzando anche le logiche epidemiologiche. Eppure, la verità è “l’idea che il gioco esista nella sua forma più autentica come esperienza emotiva immediata è semplicemente evaporata”.

Il calcio ha scoperto  – ma non può ancora dirlo apertamente – che “i tifosi dal vivo, sebbene importanti, non sono più centrali nel modello di business attuale. Non nella fascia alta comunque, dove si trovano i soldi e il vero potere. Il segreto è svelato. Noi proprietari del calcio apprezziamo la vostra presenza. Ma non ne abbiamo bisogno”.

“La Premier League corre per mettersi al passo con se stessa, terrorizzata dal rinnegare i contratti dei diritti tv. Si è trasformata in un prodotto di intrattenimento intercambiabile. Lo scorso fine settimana è stato possibile guardare in diretta il calcio della Premier League da mezzogiorno alle 22, tutto fondamentalmente omogeneizzato, incessante, geograficamente non specifico”.

Un circo digitale che si ripete senza fine mentre fuori il mondo brucia. La televisione ha preso il controllo totale della messa in scena. Ferma e riavvolge la commedia a suo piacimento”.

Secondo Ronay,  ora che è uno show da remoto completo è più facile lasciar andare l’esperienza di vita reale e guardarlo tutto in TV. Questa traiettoria è così profonda che si è tentati di chiedersi se questo diventerà un cambiamento duraturo. Seguire una squadra di calcio è un atto di fede, lealtà e grande dispendio economico. Quanti torneranno a prima? Quanto era forte quel legame?

E il pezzo aggiunge una seconda crepa: ormai è una cosa per ricchi e basta. Non è un segreto che i club dei campionati minori siano vicini al collasso. I top club non hanno alcun interesse ad aiutarli.

“Il futuro per loro non è con Sunderland, Gillingham e quei legami ancestrali coperti di ragnatele. Ma con SoftBank, i sauditi, il venture capitalism e la nuova economia del tempo libero overclass”

“Il vero pericolo è che il nuovo anormale diventi normale, che prenda il potere. L’unica via possibile è la resistenza, in qualunque forma”.

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