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Il Var costa troppo, perciò non c’è ai gironi di Europa League

Ceferin è stato eletto alla Uefa con i voti delle federazioni minori che però hanno pochi soldi (la Var room costa 300mila euro) e quindi arriverà ai sedicesimi

Il Var costa troppo, perciò non c’è ai gironi di Europa League

La rassegnazione con cui Aleksander Ceferin ha accettato l’introduzione del VAR nelle varie competizioni, spiega bene quanto il presidente dell’UEFA si sia relazionato a questa svolta con una certa diffidenza. L’inizio della resa è cominciato nel 2018, quando a marzo – quindi a pochi mesi dal Mondiale di Russia – sulla spinta dell’entusiasmo delle federazioni che l’avevano introdotto (Italia in primis), l’IFAB ne aveva ufficializzato l’utilizzo nella competizione più importante. A quel punto, l’impiego nelle coppe europee non poteva essere dilazionato, come ammise lo stesso Ceferin poco prima della decisione del Board.

Non sono contrario, penso che non si possa tornare indietro, ma dobbiamo addestrare gli arbitri in maniera appropriata perché nessuno sa bene come funzioni e questo potrebbe essere un problema

disse al termine del 42° Congresso ordinario dell’UEFA.

Alla fine, per chi non lo ricorda, il VAR fu fondamentale. Per citare il caso più eclatante, fu l’italiano Massimiliano Irrati (eccellenza assoluta in questo ruolo) a far concedere un rigore nella finale Francia-Croazia per un mani sfuggito all’arbitro uruguaiano Pitana. “Non lo introdurremo nella prossima Champions” aveva detto nella stessa occasione, eppure non poté opporsi alla richiesta di farlo entrare in vigore dagli ottavi di finale dell’edizione 2018/19.

A farne le spese, tra l’altro, fu proprio il Napoli. Nella sfida della fase a gironi col Liverpool, quella che costò la solita eliminazione beffarda. Van Dijk, ad inizio partita, entra in scivolata su Mertens. L’arbitro Skomina (che poi dirigerà la finale), lontano dall’azione dopo un capovolgimento di fronte improvviso, ammonisce soltanto il difensore olandese. Facile immaginare che, se ci fosse stato, l’assistente in video l’avrebbe richiamato per sottoporgli le immagini della pericolosità dell’intervento.

In ogni caso non sono solo le ragioni alla base dei suoi pareri contrari, a far discutere, perlomeno quelle esplicitate. Tuttora membri del mondo del calcio sono divisi, per questioni pratiche e filosofiche, sull’impiego del VAR e la frequenza con cui vi si ricorre. Col tempo, le perplessità di Ceferin si sono rivolte verso altri aspetti. Nell’aprile 2018, si espresse così in un’intervista alla Gazzetta:

Ho qualche timore per il Mondiale, dove avremo arbitri che non hanno mai diretto con il VAR. Spero non succedano scandali o problemi. Ma è un torneo unico, è più facile, come è più facile il campionato con tutti arbitri italiani o tedeschi. Anche la Premier League però ha posticipato. E la Champions è diversa”. Aveva anche detto: “Non sono per i cambi a torneo in corso, le regole devono essere le stesse dall’inizio alla fine. Altrimenti qualcuno potrebbe dire ‘se c’era il VAR due mesi fa…’”.

Appunto.

Il crescente consenso sull’applicazione di questo correttivo l’ha costretto a piegarsi. Specialmente quello arrivato da coloro che sono sempre stati i suoi alleati politici, cioè Infantino e le federazioni europee che ne hanno appoggiato l’elezione fin da subito. Su tutte, l’Italia. Così dalla stagione 2019/20, VAR dai gironi di Champions e dalla fase ad eliminazione diretta in Europa League. Nel frattempo, l’evoluzione critica di Ceferin ha raggiunto un’altra fase: quella della casistica.

Il VAR è un casino. Si rischia di essere in fuorigioco se si ha il naso lungo. Proporremo un cambiamento all’IFAB per una tolleranza maggiore, di 10-20 centimetri” ha detto al Mirror nel dicembre 2019. Un mezzo delirio, se si considera che fuorigioco e gol sono i casi in cui essere al di qua o al di là di una linea rientrano in situazioni di giudizio oggettivo con il supporto tecnologico. Poi ha proseguito, a proposito dei falli di mano: “Come si fa a definire un fallo intenzionale? L’arbitro non è uno psichiatra, non può sapere cosa è fatto in modo volontario e cosa no“. Quindi, si è spostato sulla difformità di utilizzo: “In Inghilterra non controllano, in Italia invece perdono mezzora“. Infine, la rassegnazione: “Non sono mai stato un fan del VAR, ma se dicessimo che non la utilizziamo, sai che contestazioni. Agli Europei (quelli del 2020, ora del 2021, ndr) dobbiamo usarlo sennò tutti si lamenteranno in caso di errori“.

La fisiologica estensione di applicazione, dunque, avrebbe dovuto condurne all’impiego fin da subito anche in Europa League. Ma non è stato così. Un’ipotesi verosimile ha fondamento politico. Ceferin, infatti, è stato eletto con larghissimo consenso (42 voti su 55), puntando molto sulle federazioni minori, in particolare quelle dei paesi scandinavi e del blocco orientale dell’Europa. Cioè federazioni che non muovono volumi di denaro così ingenti, in relazione a tanti altri paesi, con il calcio. Dove ci sono squadre che, per intenderci, devono appoggiarsi sistematicamente ad altre città per avere stadi a norma.

La ragione, insomma, è di carattere economico. Il VAR ha un costo, oneroso per chi non ha vita lunga nelle coppe e non vanta grandi introiti. Scenario comune in tante nazioni, elettrici di Ceferin, che partecipano con i loro rappresentanti all’Europa League. Il sito specializzato Money.it ha approfondito la questione in relazione alla Serie A e alla Serie B. Restando sul massimo campionato, l’allestimento di una VAR room (o un container all’occorrenza) comprensiva di monitor, l’installazione di almeno 12 telecamere posizionate in campo e altre spese originano un costo di circa 300 mila euro all’anno per ogni club. Chi affronterebbe un esborso simile, consapevole di attrezzarsi solo per poche gare all’anno?

La scelta di disporne solo dai sedicesimi di finale è un compromesso logico: la spesa è ammortizzata dagli incassi per aver raggiunto quella fase della competizione. Ma naturalmente è assolutamente in contrasto con gli standard professionali che si pretendono dall’Uefa e le sue competizioni. Ed è proprio l’ente internazionale che dovrebbe prodigarsi alla ricerca di una soluzione condivisa e uniforme. Ma i dubbi sull’effettiva volontà di farlo sono ben più che ipotetici.

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