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Ridateci gli zero a zero, Verona-Genoa è la nuova madeleine di Proust

In cinque giornate, Verona-Genoa è stato l’unico 0-0 in Serie A. Annibale Frossi lo definì il risultato perfetto, nel calcio formato highlights è Satana

Ridateci gli zero a zero, Verona-Genoa è la nuova madeleine di Proust

E cosa avrà mai voluto dire quel Brera, quando chiamava “squadre femmine” le nazionali religiosamente votate alla difesa, l’Italia e l’Uruguay caste per tradizione. Come l’avrebbe conciato oggi il #metoo, anche solo per un’inezia del genere. Ponendo l’ovvia (figuriamoci) questione di genere, ma peggio ancora mettendo per iscritto una volta di più l’eresia della bellezza del calcio sterile. Ora che lo zerazero è un panda asociale in cima al più spoglio dei bambù del Sichuan, torna alla mente la storia abusata di Annibale Frossi, il campione olimpionico del ’36 che registrò per i posteri il “risultato perfetto”. Non ci aveva mai davvero convinto, diciamocelo. Presi come siamo (e siamo sempre stati) dalla fame del gol, obiettivo ontologico del meno generoso di tutti gli sport.

Quest’anno, però, dopo cinque giornate e un’orgia di 183 gol segnati, ad un certo punto è saltata fuori dal calendario Verona-Genoa. L’unica partita finita “a reti inviolate“, come si diceva quando ancora le pagine dei giornali sportivi erano piene di “punteggi ad occhiali” buoni per un tempo in cui con gli occhiali si scendeva in campo, tipo Frossi. Una e una sola soltanto.

19 ottobre, un lunedì. In un Bentegodi inanimato da appena mille persone selezionate dagli sponsor, è andato in scena uno spettacolo vintage che un giorno – magari – finirà narrato coi toni del teatro civile di Paolini, o da un più commerciale “Buffa racconta”. Il giorno in cui il calcio si ricordò di essere – anche – un gioco puritano, duro e insopportabile. Ma bello anche per sottrazione. Mai scontato nell’esito finale, che non è solo la vittoria di una delle contendenti, ma anche la riuscita stessa dei piani d’attacco e difesa, in un elastico che può anche non rompersi mai terminando in pareggio.
Non vince nessuno, non perde nessuno, non segna nessuno. Che sport è mai questo? E chi lo sa.

Ormai lo zerazero non esiste più. Sotterrato da decenni di reprimende ideologiche: se non c’è gol non c’è bellezza, non c’è identità, non c’è partita. Pippo Russo in uno dei suoi accorati elogi allo 0-0 denuncia l’aberrazione del “bore draw refund”, il meccanismo escogitato dalle agenzie di scommesse online che garantisce agli scommettitori il rimborso della puntata nello sventurato caso in cui la gara sulla quale si è sbagliato pronostico finisca 0-0.

“Il massimo indizio del disprezzo – scrive Russo – sta nella scelta dell’aggettivo: bore, noioso. Come si trattasse di offesa emotiva e estetica”.

Quelle che una volta erano scuole di pensiero – i breriani a catenaccio da una parte, Ghirelli e Palumbo all’attacco dall’altra – ora sono teorie da scantinato del pallone. Brera era uno che definiva “cicale” l’Olanda di Cruyff, prima che il Milan di Sacchi e i tre punti per la vittoria dessero definitivamente la caccia al mostro: vade retro zerazero, ci impalli le tv. Gol, servono i gol, a questo calcio confezionato in formato highlights.

Poi però spunta Verona-Genoa, e fa l’effetto della madeleine proustiana, del profumo del ragù di nonna sul fuoco alla domenica. Ma con qualcosa in più: il peccato del proibito, il piacere quasi feticistico del poter supporre che non per forza tutti riusciranno a far gol. Il voyeurismo del fallimento altrui. Per citare di nuovo Russo:

“la sua imprevedibilità sta nel fatto di offrire al meno forte delle reali possibilità per tenere testa al più forte, e persino di batterlo se le circostanze lo consentono”.

E’ la strategia della tensione che il calcio non avverte più, in questa sua nuova versione incontinente da 50 gol a giornata. L’idea forse un po’ moralista che nello spirito del gioco avessero pari dignità l’offesa e la difesa, un equilibrio che ormai pare essere superato da una logica molto più banale: non importa quanti gol prendiamo, l’importante è farne uno in più. Da sport della scarsità (non ne esistono di così “poveri” di punteggio) a bengodi disordinato: lo show, il circo, le tigri nel cerchio infuocato.

Enzo Bearzot diceva che “non è che l’attaccante segna sempre per un errore altrui, segna perché compie un gesto contro il quale non puoi far nulla”. Ma se fai poco o nulla per definizione tattica, l’attaccante finisce per compiere un gesto che svilisce nell’inflazione. In un carnaio di goleade, e di tabellini affollati come le autostrade ad agosto.

Nel glorioso ventennio 80-90, quando la gente ignorava il significato di “cleen sheet”, si viaggiava ad almeno un paio di 0-0 a schedina. Nella stagione 1988/89 registrarono un picco di 58 0-0 in 306 partite. Alla fine degli anni 90 si era già sotto la fatidica soglia del 10 per cento. Oggi, appunto, il Panda della succitata metafora.

Lo 0-0 ci manca così tanto – come opzione, come ipotesi – da rintracciare in Verona-Genoa l’impronta di un’altra dimensione. L’unico 0-0 in Serie A su 50 partite, che una volta avremmo definito brutto anche senza guardarlo. Ora no: ora ce lo godiamo, nella sua originalità. Più che brutto, un tipo.

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