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«Ugo Tognazzi e Vianello sceglievano i ballerini se sapevano giocare a calcio. Era la loro passione»

Ricky Tognazzi intervistato dal Corriere. «Il cibo per lui era fondamentale. Gli ospiti dovevano votare i suoi piatti. Avevano palette con scritto: ottimo, buono, mangiabile, cagata, grande cagata, grandissima cagata»

«Ugo Tognazzi e Vianello sceglievano i ballerini se sapevano giocare a calcio. Era la loro passione»

Il 27 ottobre saranno trent’anni dalla morte di Ugo Tognazzi. Il Corriere della Sera intervista il figlio maggiore, Ricky. Lo ricorda così:

«Penso al sorriso sornione, dal basso in alto, mentre in calzoncini assurdi e un grembiule taglia una cipolla che gli strappa una lacrima e mi dice: vieni a darmi una mano, cosa fai lì impalato a guardarmi».

Più che un patriarca, Tognazzi era una matriarca.

«Io direi che era una matriarca. Ci allattava, ci cucinava e cibava delle sue esperienze, del suo umorismo, dei suoi insegnamenti ma senza mai salire in cattedra. Era impossibile non ascoltarlo. L’argomento preferito era il cinema, che amava in modo totalizzante. E poi scherzava sulle sue disavventure con le donne, che sono irraccontabili. Storie di corteggiamenti non riusciti. Un’attrice americana gli parlò di un film in cui faceva un soldatino. Ugo capì che era un film di Manfredi. Gliel’hai detto che eri un altro? E lui: perché avrei dovuto, mi sarei rovinato la serata».

Parla del padre chiamandolo Ugo.

«Recitava Pirandello in francese, lui che veniva dall’avanspettacolo e aveva il diploma da ragioniere. Pasolini disse che era la persona più sensibile e intelligente mai conosciuta, Ugo lo portava come un fiore all’occhiello».

Racconta il rapporto che Tognazzi aveva con Vianello, con il quale formò, in tv, una coppia leggendaria.

«Si vedevano poco fuori, Vianello era un monogamo vivente, al tempo della rivista scelsero la grazia per le ballerine e per i boys la priorità era se sapevano giocare a calcio (passione di entrambi), perché con Walter Chiari, Dapporto e Macario facevano un torneo di calcio tra le diverse compagnie teatrali».

Sulla passione per il cibo che aveva il padre, racconta:

«Era tante cose, soprattutto sostituiva il teatro, l’applauso degli spettatori che, avendo sposato il cinema, non aveva più. Gli ospiti erano chiamati a votare i suoi piatti, avevano palette con scritto: ottimo, buono, mangiabile, cagata, grande cagata, grandissima cagata. Gli ultimi tre giudizi furono inventati da Paolo Villaggio. Andò da un grafologo per individuare l’amico che aveva stroncato una sua pasta e fagioli. Sul cibo, molto più che per i critici, non scherzava, era permalosissimo».

Un uomo dalla «grande umanità e generosità» capace anche «di momenti di forte malinconia». Che, alla fine della carriera,

«cadde in depressione, temeva di morire, non aveva voglia di far nulla, si convinse di aver sbagliato tutto, non aveva manco fame, pensò che il cinema gli avesse voltato le spalle. Ma era fisiologico, dai 60 ai 90 ci sono stati solo lui, Mastroianni, Gassman, Manfredi, Sordi».

 

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