Fu un amore asfissiante. E Diego voleva fuggire. Ricordarlo non toglie nulla alla grandiosità vissuta. Il dolore composto di oggi (ma quali assembramenti) lo conferma
Corrado Ferlaino regala uno scoop mondiale al Mattino quando dichiara
«Io faccio l’imprenditore a Napoli da una vita e non mi sono mai imbattuto nella camorra».
Una notizia bomba da parte dell’Ingegnere che – grazie al fondamentale concorso della imperante Dc negli anni 80, come ha meritoriamente ricordato Pomicino – portò Maradona a Napoli nel 1984.
L’ex presidente non ha gradito la messa in onda, su Raitre, dello straordinario di Kapadia su Maradona. Già se ne era lamentato quando il film venne proiettato nei cinema. Ora lo ha ribadito. Anche perché il Napoli – non Napoli – non ne esce benissimo
«Non dovevano mandarlo in onda proprio nel giorno dei funerali di Maradona».
Ferlaino in quel film dice una sola frase: «Sono stato il carceriere di Maradona». Frase che ha poi ripetuto in questi giorni. Kapadia ha prodotto un’opera del tutto a-ideologica su Diego. E mostra quel che Ferlaino, e non solo lui, vuole dimenticare. Ovviamente, e giustamente, i fari sono accesi su Napoli. Perché è a Napoli che si è svolta e consumata la sua parabola. È Napoli che ha reso grande Maradona, così come vale il contrario. Ma la città, un’ampia parte della città – in questo caso ben rappresentata da Ferlaino – vuole che venga ricordato solo il grande amore. Che c’è stato. Ma, come in ogni aspetto di questa vita, questa passione totalizzante ha portato con sé l’altro volto. Ineludibile, a nostro avviso.
È inutile stare a parlare di cosa sarebbe stato Maradona se avesse bevuto acqua minerale e avesse mangiato cibi a base di zenzero e quinoa. Sarebbe stato un uomo triste, con ogni probabilità. E con Napoli vale il medesimo principio. Forse in questa occasione vale quel modo di dire che equivale a una condanna: “solo a Napoli”. Probabilmente Napoli era il luogo di Maradona. Nel bene e nel male.
Questo racconta Kapadia. Che il documentario sia privo di qualsiasi approccio ideologico, lo conferma la documentazione della semifinale Italia-Argentina. Kapadia smonta con la forza delle immagini il falso storico creato per rabbia da Vicini dopo aver perso ai rigori. «Se si fosse giocato a Roma», lasciando intendere che il San Paolo era stato tiepido. Kapadia dimostra il contrario, mostra i volti dei tifosi, la loro delusione. Con una minoranza – tra cui chi scrive – che tifò Argentina. Una minoranza. E chi scrive si inalberò per aver udito persino qualche fischio all’inno argentino.
Kapadia mostra che cos’è stato il rapporto tra Napoli e Maradona. Sarebbe lunare ridurre tutto all’amore universale. Questa continua autoassoluzione che Napoli ormai celebra senza sosta. Che poi non c’è alcuna condanna. Poteva andare soltanto così. Ed è stato meraviglioso così. Perché in quei sette anni si è scritta la storia. Sono stati anni magici. In cui Napoli è stata catapultata al centro del mondo. Anni di ebbrezza. Vissuti pericolosamente e a mille all’ora. Col piede a tavoletta e il vento tra i capelli. Una sensazione indimenticabile. E nella vita vera c’è sangue e merda. Anche se oggi la policy dei social vuole bandirle dalle nostre esistenze.
Kapadia mostra in maniera impietosa la differenza di esultanza di Maradona tra il primo e il secondo scudetto. Per non parlare di quello sguardo nel vuoto alla cena di Natale 90. Lo sguardo di un prigioniero. E, caro Ferlaino, Kapadia andrebbe ringraziato perché non indugia sulla fase in cui Maradona voleva liberarsi di Napoli. Kapadia non mostra i fischi del San Paolo quando Maradona venne sostituito in Napoli-Pisa, poche settimane dopo la conquista della Coppa Uefa.
Ferlaino, da carceriere confesso, oggi ne parla serenamente. Venne meno alla promessa data: “Io le faccio vincere la Coppa Uefa e lei mi lascia andare a Marsiglia”. Avrà fatto anche bene il presidente del Napoli (è da dimostrare). Solo che la storia va raccontata tutta. E chi la racconta, non offende né strumentalizza. Racconta. Aggira l’usanza locale, e non solo, di abbellire la realtà.
Quel tentativo di fuga di Maradona per Marsiglia è stato completamente rimosso. Non è funzionale allo storytelling. Eppure i quotidiani italiani il 12 luglio del 1989 riportarono questo comunicato di Diego che aveva già incontrato Hidalgo per conto di Tapie.
Voglio lasciare Napoli ha dichiarato ieri a un giornalista argentino perché non sopporto più la vita che sono costretto a fare in Italia. Forse sto diventando vecchio, ma sento che è arrivato il momento di cambiare. La mia famiglia non può vivere soffocata, senza poter uscire di casa. Ed io voglio essere libero di poter portare, come tutti i padri del mondo, le mie figlie in un parco di divertimenti, cosa che a Napoli è assolutamente impossibile. Il più bel campionato della terra, come lui stesso lo definisce, non lo interessa più: Per godermi la mia famiglia sostiene ho bisogno di un ambiente più tranquillo, di poter passare insieme con i miei cari Natale, Capodanno e le altre feste. Sono stanco di sacrificare la vita privata in nome degli impegni. Non ce la faccio più, sinceramente, ad andare avanti così.
Quella vicenda è molto ben raccontata in questo articolo di un anno fa de l’ultimo uomo.
È storia. Non è un’offesa a Napoli o a Ferlaino. Poi, vincemmo un altro scudetto e una Supercoppa italiana. Ma forse si perse per sempre Diego. E Kapadia, con la sola forza delle immagini, mostra perfettamente anche questo aspetto. È il dubbio si porrebbe qualsiasi persona non dedita alla riscrittura orwelliana in difesa di Napoli. Anche perché nulla toglie a Napoli. E alla grandiosità e irripetibilità di quegli anni. La storia non toglie né concede. La storia è storia. Parlare di rispetto, come ha fatto Ferlaino, è grottesco.
Il punto è che tutto quel che riguarda Napoli viene raccontato per luoghi comuni. Figuriamoci il rapporto tra Napoli e Maradona. Anche quel che sta avvenendo in questi giorni. C’è l’impressione, netta, di voler obbligatoriamente fornire un’immagine, sempre la stessa. C’è sì il dolore di una città per uno di famiglia. Perché Maradona è uno di famiglia. Ma è un dolore composto e lo testimonia il sacrario allo stadio San Paolo. Non c’è un problema di distanziamento sociale. Siamo stati lì tre volte in un giorno e mezzo e non abbiamo mai visto più di cinquecento persone, e ci stiamo tenendo larghi. C’è il ricordo silenzioso. Le persone arrivano, guardano, ricordano, pensano, pregano, lasciano qualcosa. Perché in quel luogo, per sette anni, c’è stata la nostra vita. Questo è innegabile. Perché Maradona ci ha regalato gioie complesse da raccontare. E l’unico modo per provare a rivivere quelle sensazioni, è rimanere in silenzio di fronte allo stadio.
Ma nulla di neanche paragonabile alle scene viste a Buenos Aires. Purtroppo la compostezza di Napoli non fa notizia. Così come non vuole essere ricordato che Diego voleva sfuggire a quell’amore asfissiante. È la condanna di Napoli. Ma non possiamo certo prendercela con chi ha occhi diversi e quindi ha occhi per guardare Napoli diversamente. Non tutti hanno gli occhi di Ferlaino che ha fatto l’imprenditore a Napoli per una vita e non si è mai imbattuto nella camorra. Lei è un uomo piuttosto distratto, avrebbe detto De Andrè.