RACCONTI DI UN ALTRO CALCIO – Uno fu squalificato venti volte, sputava agli avversarti. L’altro era un biondo elegante, a ogni gol Agnelli gli regalava una mucca
RACCONTI DI UN ALTRO CALCIO
In prosa e in versi azzardati il calcio che rinacque nel dopoguerra. Ricordi, personaggi, aneddoti, avventure.
S’appassionava il Paese al campionato. Carapellese correva all’ala sinistra, Muccinelli a destra. Carlo Parola, operaio alla Fiat e acrobata in campo, si issò a mezz’aria, schiena al prato, braccia allargate, e inventò la rovesciata per cacciar via davanti a Sentimenti i lanci spioventi della squadra contraria.
La rovesciata memorabile del centromediano bianconero, immortale nello scatto del fotografo Corrado Bianchi, fece il giro del mondo in duecento milioni di esemplari. Fu in una partita della Juve a Firenze il 15 gennaio 1950. Il giocatore fotografato dal basso sembra andare a calciare il cielo.
Venne a Napoli, Carlo Parola, nella confusione azzurra del 1968. Un progetto molto speciale: Sivori a 33 anni allenatore e Parola preparatore. Invece arrivò Chiappella. Il torinese Carlo Parola, detto Nuccio, fu un amico ora triste, ora divertente. Era per tutti Nuccio Gauloise, perché fumava e molto quelle sigarette francesi. E beveva. Aveva 47 anni. Mi sembrò ormai estraneo al calcio. Non fu felice l’ultima parte della sua vita. La concluse a 79 anni, in miseria. Giampiero Boniperti amico suo sino alla fine.
In quegli anni Cinquanta, fra la coda dei Quaranta e l’inizio dei Sessanta, due protagonisti assoluti sull’erba degli stadi, due rivali, due caratteri contrapposti, un angelo biondo e un demonio nero, Giampiero Boniperti, novarese di Barengo, e Benito Lorenzi, toscano di Buggiano. La Juve e l’Inter di quei tempi.
Impettito correva l’angelo della Juve, onde bionde i capelli, occhi chiari, la falcata elegante. Vessillo bianconero in 15 campionati, 469 partite, 188 gol. L’immagine bella della Signora.
L’altro, Lorenzi, il demonio dell’Inter, era tutto un rovello, un gioco a grimaldello, un tumulto di cuore e caviglie, un groviglio di passi, il dribbling assassino e il tiro malandrino. La durlindana dell’Inter. In maglia nerazzurra 11 campionati, 314 partite, 143 gol.
Fu la madre Ida a chiamarlo Veleno per il suo carattere viperino già da ragazzo. E per l’Inter si attorcigliava velenoso con la palla, una stilla di cianuro sulla lingua. Sputava agli avversari e, nei contrasti più accentuati, gli strizzava gli zebedei. Faccia da impunito. Venti volte squalificato. A Milano abitava in via Olmetto in un appartamento dell’Inter.
Famoso anche per avere maliziosamente rifilato a Boniperti il nomignolo di Marisa, tanto grazioso ed educato gli appariva il campione della Juve, quasi femmineo per la sua grazia bionda.
Il confronto fra i due è impietoso per Veleno. Boniperti vinse cinque scudetti con la Juventus (1950, 1952, 1958, 1960, 1961), Lorenzi due con l’Inter (1953, 1954). Nei confronti diretti fra Inter e Juve, Lorenzi segnò 8 gol, Boniperti 5.
Il nonno, panettiere, aveva voluto che si chiamasse Benito. Quando i fascisti gli chiusero il forno, il nipote gli disse: “Mi hai chiamato Benito e quelli ti hanno chiuso il forno, bell’affare”. In campo, ne inventava sempre una. Una volta, nel derby contro il Milan, l’arbitro assegnò un rigore ai rossoneri. Prima che il milanista Cucchiaroni battesse il calcio di rigore, Lorenzi mise un limone sul dischetto. Cucchiaroni sbagliò il penalty. A Firenze prese a capocciate Nyers, ala sinistra dell’Inter, che aveva appena sbagliato un gol.
Giampiero arrivò alla Juventus nel 1946. Era tesserato per il Momo, la squadra dell’omonima città in provincia di Novara. Chiese alla Juve che le 60mila lire del suo acquisto fossero divise tra il Momo e il Barengo, la squadra del suo paese “che ho nel cuore”. Gianni Agnelli gli promise una mucca per ogni gol che avesse segnato. Boniperti andò nelle tenute degli Agnelli per riscuotere una mucca ad ogni gol. Cervello fino, Giampiero prendeva sempre una mucca gravida così che ne avrebbe avuto più di una quando quella avesse partorito. Ci ha fregato, disse l’Avvocato.
Da antico tifoso del Grande Torino, ho amato Boniperti quando disse: “Se devo pensare al calciatore più utile a una squadra, non penso a Pelè, Di Stefano, Cruyff, Maradona, o meglio penso a loro dopo avere pensato a Valentino Mazzola”.
Centravanti al tempo di John Hansen e Praest, retrocesse mezzala con la squadra di Sivori e Charles. Ha detto: “La Juventus non è soltanto la squadra del mio cuore. È il mio cuore”. Da giocatore a dirigente, impose a Platini di tagliarsi i capelli quando il francese capellone giunse alla Juve. Ha lasciato a imperitura memoria il suo primo e unico comandamento: “Vincere non è importante, è la sola cosa che conta”.
Oggi Giampiero Boniperti ha 92 anni. Benito Lorenzi se ne è andato a 82 anni, nel 2007.