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Il Napoli di Gattuso non può essere identitario

Contro il Bologna ha potuto giocare in verticale, contro il Milan ma soprattutto contro la Roma serviranno altri principi di gioco

Il Napoli di Gattuso non può essere identitario

La giusta insistenza di Gattuso

Dopo il massiccio turn over in Europa League, Gattuso ha affrontato la trasferta di Bologna nel segno della continuità, per quanto riguarda uomini e sistema di gioco, rispetto ai precedenti impegni di campionato. È stata una scelta saggia, e non solo perché è stata premiata dal risultato finale. Anche dal punto di vista tattico, la sfida contro il Bologna ha evidenziato come gli azzurri riescano a esprimersi bene quando il contesto tattico risulta favorevole. Come ha scritto Massimiliano Gallo sul Napolista, non si può ancora parlare di una sicura e totale guarigione del Napoli dopo alcune prestazioni complicate; ma le statistiche rilevate durante la gara del Dall’Ara, così come gran parte delle sensazioni provate durante nell’arco della partita, hanno dato a Gattuso dei segnali importanti, per cui il tecnico potrà proseguire con ottimismo nel progetto di perfezionamento della sua squadra.

Perché abbiamo parlato di un contesto tattico favorevole? Perché il Bologna è una squadra simile al Napoli, per stile e concetti di gioco – ovviamente dentro il suo perimetro. Non è solo questione di moduli speculari, di 4-2-3-1 in fase offensiva, e infatti tra un attimo vedremo come il sistema utilizzato da Mihajlovic sia stato in realtà molto fluido, molto mutevole, durante la partita; il punto è che il Bologna e il Napoli sono due squadre che devono necessariamente attaccare in verticale. Da una parte ci sono Osimhen e Lozano, dall’altra invece Palacio e Barrow: Gattuso e Mihajlovic, come tutti gli allenatori del mondo, lavorano per sfruttare e valorizzare le caratteristiche dei propri giocatori. Quindi è inevitabile che Napoli e Bologna cerchino di servire velocemente i propri attaccanti, di risalire il campo in maniera diretta, con pochi passaggi.

Il Bologna liquido, il Napoli rigido

Questo principio di gioco similare è stato attuato e interpretato in maniera diversa da Bologna e Napoli – almeno nella gara di ieri. La squadra di Mihajlovic, infatti, si è schierata in maniera simile a quanto fatto dal Sassuolo, una settimana fa, al San Paolo: in fase di possesso, le rotazioni determinavano un 3-2-4-1 asimmetrico, con De Silvestri e Barrow esterni a tutta fascia deputati a movimenti differenti, infatti il gambiano ha mostrato una maggiore propensione offensiva sull’out mancino; doble pivote composto da Schouten e Domínguez; Orsolini e Soriano nei mezzi spazi, dietro a Palacio unica punta; l’attaccante argentino, però, si è spesso scambiato la posizione con Barrow, come si vede dalla mappa dei suoi tocchi di palla. In fase passiva, invece, la squadra di Mihajlovic si è schierata con un classico 4-5-1 che diventava 4-4-2.

Nel frame in alto, la fase di costruzione del Bologna con tre difensori; sopra, invece, la fase difensiva con il modulo 4-4-2

Il Napoli, invece, ha confermato il 4-2-3-1/4-4-2, con scelte di formazione lineari: Hysaj di nuovo terzino sinistro con Insigne laterale offensivo di parte; Bakayoko-Fabián Ruiz in tandem davanti alla difesa; Lozano a destra al posto di Politano. Proprio quest’ultimo cambio deve far riflettere sul piano-partita preparato da Gattuso: l’allenatore azzurro, evidentemente, sapeva che il Bologna non avrebbe (voluto? potuto? saputo?) cambiare atteggiamento, dunque avrebbe affrontato la gara senza snaturarsi, continuando ad attaccare in verticale, a cercare di dilatare gli spazi. E allora ha inserito il messicano, perfetto per giocare in campo aperto. La bontà di questa scelta tattica si legge nei dati della gara del messicano: ha servito l’assist decisivo a Osimhen, ha effettuato un altro passaggio chiave, ha concluso 3 dribbling, ha guadagnato 3 punizioni, ha vinto 7 duelli individuali su 7 e ha toccato quota 80% per precisione dei passaggi.

Il campo aperto

Come si è determinata, per Lozano e per il Napoli, la possibilità di giocare in campo aperto? Grazie al pressing del Bologna, una squadra che – ripetiamo – vuole attaccare in verticale e che perciò deve necessariamente tenere un atteggiamento aggressivo e le linee alte (baricentro in fase di non possesso a 44 metri, quello del Napoli è stato posto a 49 metri) , così da recuperare il pallone in zone avanzate di campo. Questa tendenza ha finito per spezzare in due tronconi lo schieramento di Mihajlovic, come si vede da questo frame.

Ospina fa partire l’azione da dietro, il Bologna porta sei uomini nella metà campo del Napoli.

Questa immagine è assolutamente esplicativa di quanto successo in campo durante la gara di ieri. Il campo aperto a favore del Napoli si determina perché il Bologna non può coprire quel buco tra che si crea tra difesa e centrocampo; facendo transitare il pallone in quello spazio, attraverso passaggi diretti, verticali, il Napoli ha potuto liberare spesso i suoi esterni o i suoi centrocampisti in spazi enormi. Come per esempio è avvenuto in quest’azione, che ha portato all’ammonizione di Domínguez.

Il pallone dato da Ospina è a metà tra Osimhen e Bakayoko, ma è arpionato e addomesticato dal centrocampista francese, prima che il centravanti del Napoli possa toccarlo. A quel punto, Bakayoko scatta e si determina un’azione in parità numerica, quattro contro quattro. Anche Lozano è solo, sulla destra, ma Bakayoko viene fermato fallosamente prima che possa passare il pallone, a lui oppure a Osimhen.

Il Bologna ha tenuto questo atteggiamento aggressivo e ambizioso in fase difensiva, ma anche in avanti: la prima costruzione a tre varata da Mihajlovic aveva l’obiettivo di “chiamare fuori” il Napoli, per poi cercare di infilzarlo con palloni verticali dietro la linea di pressione. I meccanismi più utilizzati sono stati il passaggio di prima dell’esterno verso gli uomini offensivi al centro e i lanci lunghi dalla difesa (55 contro i 49 del Napoli). Il gol di Osimhen nasce proprio dal contenimento di un’azione di questo tipo: dopo un primo scambio in area, Mertens e Osimhen pressano alto e costringono Skorupski al lancio lungo; Manolas anticipa Soriano di testa, il Bologna è già spaccato in due e così Lozano può affrontare (e superare) Denswil in campo aperto;  la transizione negativa della squadra di Mihajlovic è gestita malissimo, Lozano cerca e trova Osimhen solo dalla parte opposta dell’area di rigore.

È un gol tattico, anche se non sembra

Bologna e Napoli si sono affrontate così per 70 minuti. Più che una partita di calcio, sembrava una partita di tennis: un colpo a testa, un’azione verticale a testa. Fino a quando Mihajlovic non ha cambiato disposizione tattica e ha inserito giocatori più freschi, ma di questo parleremo tra un attimo.

Prima, cerchiamo di capire perché il Bologna abbia tenuto questo atteggiamento per la grande maggioranza della gara, perché Mihajlovic abbia insistito con un certo piano-partita nonostante le evidenti difficoltà. In situazioni del genere, esattamente come succede nel tennis, di solito è la qualità a vincere. E infatti il Napoli ha vinto a Bologna perché alcuni dei suoi giocatori più forti – più forti in senso assoluto e rispetto a quelli del Bologna – hanno potuto esprimersi bene. Non parliamo solo di Osimhen e Lozano, ma anche di Koulibaly, Manolas e Bakayoko, ovvero due centrali eccezionali nella difesa uno contro uno in spazi aperti e un centrocampista bravissimo nell’appropriarsi di palloni vaganti – vale a dire quelli più frequenti quando si sfidano due squadre che praticano un calcio molto diretto, inevitabilmente frenetico.

Rispondiamo alla/e domanda/e sul Bologna: Mihajlovic non ha scelto deliberatamente di creare un contesto tattico favorevole al Napoli. O meglio: ha scelto di giocare nel modo che riteneva migliore per esaltare le doti dei suoi uomini. Un modo che, incidentalmente, ha finito per favorire il Napoli. Il tecnico serbo ha deciso di mantenere inalterata l’identità del Bologna, la sua vocazione ad attaccare in verticale e a difendere in maniera aggressiva. Non ha cambiato pelle per provare a vincere questa partita, ma ha pensato che ai suoi giocatori servisse continuare a stare in campo in un certo modo. Nell’eterno dilemma tra ricerca del risultato immediato e miglioramento dilatato nel tempo. Mihajlovic ha scelto la seconda strada. E ha perso la gara.

Il finale di partita

Come detto in precedenza, a un certo punto il Bologna ha iniziato a essere più pericoloso, a insidiare il Napoli. La squadra di Mihajlovic ci è riuscita modificando il suo assetto, non il suo approccio al gioco. Grazie ai cambi tra il 62esimo e il 70esimo (Svanberg per Domínguez e Vignato per Denswil) i rossoblu hanno reso ancora più offensivo e rapido il loro gioco in fase di possesso: Orsolini è diventato esterno a tutta fascia, dall’altra parte Vignato ha preso il posto di Barrow, determinando una sorta di 3-1-4-2 che ha letteralmente accerchiato la difesa del Napoli – a sua volta stanca dopo un’intera partita passata a pressare alto e a scappare indietro sulle continue imbucate del Bologna.

A quel punto, la ricerca continua del pallone in verticale ha finito per generare situazioni di parità o addirittura superiorità numerica, da cui però il Napoli è uscito indenne – soprattutto grazie alle parate di Ospina

Più che la tripla occasione fallita da Orsolini (x2) e Svanberg, molto casuale, l’azione prima di questo tiro di Palacio spiega come abbia attaccato il Bologna nel finale di partita

Il finale di partita non va addebitato solo ai problemi del Napoli, ma anche alle letture di Mihajlovic e all’ottima condizione fisica del Bologna, una squadra che gioca una sola partita a settimana e che comunque ha dei buoni valori – considerando la sua dimensione, il fatto che non possa coltivare obiettivi più ambiziosi della salvezza. Quest’ultimo è un punto importante: il Napoli ha rischiato di gettare al vento due punti nei minuti finali di partita, ma solo perché in precedenza non è riuscito a trovare il raddoppio. I dati, infatti, ci dicono che il Bologna ha tirato solo 5 volte in 80 minuti di gioco. E, tra l’altro, 3 di queste 5 conclusioni sono state respinte dai difensori del Napoli. La squadra di Gattuso, invece, ha messo insieme 19 tentativi verso la porta di Skorupski.

I dati ci dicono chiaramente come il Napoli, a Bologna, abbia vinto una partita in maniera solida. Magari l’avrà fatto senza dare la sensazione di dominare il gioco, ma anche questa è una lettura fuorviante. La squadra di Gattuso, infatti, è stata costruita e gioca in maniera diversa rispetto al passato, non impone più la sua qualità attraverso il possesso continuo ma preferisce attacca con folate attuate in in transizione, con azioni in campo aperto, con occasioni create grazie a uno, due, tre passaggi al massimo. Anche il risultato finale della sfida all’Atalanta, tondo e convincente, non fu il frutto di una partita comandata dal primo all’ultimo minuto. Contro la squadra di Gasperini, il Napoli costruì e capitalizzò una buona serie di occasioni da gol nel primo tempo. E poi si limitò a gestire il ritorno degli avversari.

Conclusioni

Il nuovo Napoli è questo. Gioca così perché è fatto così. Solo che questo calcio “estremo” non può funzionare in ogni partita, anche perché nella rosa di Gattuso ci sono ancora alcuni calciatori che in fase offensiva, forse, preferirebbero praticare un calcio meno diretto e verticale. Ma l’inevitabile ricambio generazionale sta portando il Napoli verso una nuova dimensione tattica, forse meno dominante rispetto al passato, più estemporanea, ma questo non vuol dire meno nobile. In queste pagine, da settimane, sosteniamo che Gattuso stia portando avanti questa transizione con intelligenza, mischiando contenuti e stili. E che debba proseguire per questa strada, sperimentando e senza impantanarsi.

A Bologna, nonostante tante conferme, è andata proprio in questo modo. Il tecnico calabrese ha scelto il Napoli verticale perché era la squadra giusta per questa partita, ma ciò non toglie che nelle prossime gare – contro il Milan, ma soprattutto contro la Roma – il Napoli non possa attuare altri principi. Questo non vuol dire cambiare necessariamente modulo, ma anche difendere in maniera meno aggressiva e ambiziosa, oppure attaccare con un possesso più ricercato.

In questo momento storico, la squadra azzurra non può essere identitaria, deve poter e saper variare. Anche a costo di perdere alcune certezze tattiche, di non possedere il 100% di fluidità nel proprio gioco. Di affidarsi più alle qualità dei singoli che all’efficacia ricercata del sistema. Non sarebbe una cattiva idea, considerando che il Napoli è ancora una delle squadre più forti nelle competizioni in cui è impegnato quest’anno – Serie A ed Europa League. E forse è anche la soluzione migliore per mettere insieme giocatori così diversi tra loro, almeno per ora.

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