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La famiglia in guerra per i soldi, ma la vera battaglia sull’eredità di Maradona è politica

Diego il combattente per la libertà è il prossimo dio, pronto all’uso. Da sfruttare ideologicamente e commercialmente per decenni. Lo Stato ha già preso posizione: è un patrimonio tutto suo

La famiglia in guerra per i soldi, ma la vera battaglia sull’eredità di Maradona è politica

La faccia ridotta a stampa sulle magliette delle bancarelle, come Che Guevara. Maradona ha fatto in tempo a capire ancora in vita la via che avrebbe preso la trasfigurazione della sua eredità. Che ad appena due giorni dalla morte è già una questione legale, con le crepe familiari, la zuffa per accaparrarsi briciole del (piccolo) patrimonio materiale del più grande calciatore del mondo.

Un’ovvietà, la faida attorno alla salma. Claudia Villafane che bandisce dalla veglia alla Casa Rosada Rocio Oliva, l’ultima fidanzata ufficiale di Diego, e Matias Morla, l’avvocato rapace che aveva subito accusato di negligenza i soccorsi.

Il Fatto scrive che gli averi di Diego al netto dei debiti non sono faraonici. Ci sono gli immobili, le auto di lusso, un carro armato bielorusso e 480 oggetti già in mano a Claudia. Ma in ballo, soprattutto, ci sono i diritti d’immagine: una cambiale miliardaria da incassare anche postdatata.

Nel 2018 Maradona dichiarò pubblicamente che non avrebbe lasciato nulla alla famiglia, tutto in beneficenza. Ma sotto sobolle una magma di interessi. Oltre a Claudia Villafane, entrano in gioco le due ex fidanzate Veronica Ojeda e Rocio Oliva, i cinque figli sinora riconosciuti, Diego Jr, Dalma, Giannina, Jana e Diego Fernando. Poi c’è un elenco laterale e provvisorio di altri figli ufficiosi (con il test del DNA molte sono le richieste post mortem in Sudamerica, scrive Il Giornale).

E poi c’è l’eredità immateriale, ideologica, quasi filosofica. Un discorso molto complesso, ancora sottostimato. Un’architettura di simboli già evidente dalla messa in scena del lutto nazionale, a pochi minuti a piedi dalla cattedrale di Buenos Aires, dove l’arcivescovo Jorge Bergoglio, Papa Francesco, una volta celebrava le sue funzioni. “Non so quante persone ci siano che hanno solo reso così felice un popolo intero”, dice il presidente Alberto Fernández, mentre appone due foulard bianchi, simbolo della resistenza contro la dittatura militare di destra. Sua moglie aggiunge rose rosse.

L’inviato in Argentina della Faz sottolinea che tutto “d’ora in poi è anche una dichiarazione politica. Maradona appartiene allo stato, al governo, al potere statale. Non alla chiesa, che avrebbe il monopolio delle cerimonie funebri. Fernández e, soprattutto, la presidente di lunga data Cristina Kirchner, che oggi tira le fila del potere dietro Fernández da vicepresidente, erano in sintonia con Maradona”.

I soldi a questo punto assumono un’importanza relativa, sono frattaglie da sciacalli. Molto più grande e potente è la sua eredità emotiva, politica. Maradona una volta ha detto di essere di sinistra. In tutto e per tutto, dal piede allo stomaco e alla testa. Non la sinistra europea, ma la sinistra sudamericana del popolo, dei poveri. Un messaggio potentissimo in un Paese travolto dalla crisi economica, nel quale il tasso di indigenza supera il 40%. Che c’entra Maradona? Il filosofo Santiago Gerchunoff ha commentato: “E no, non tutte le nazioni oggi hanno qualcuno di analogo a Maradona”.

Tra gli ammessi alla veglia c’è anche Rafael Di Zeo. Di Zeo è l’ex capo di “La 12”, uno dei boss dei tifosi del Boca Juniors, le cosiddette “barras bravas”. In nessun altro paese le tifoserie sono così strettamente legate alla scena politica. In cambio della quasi totale impunità dentro e fuori lo stadio, gli ultras sono personale braccio armato di politici corrotti, usato spesso per reprimere dissensi e assicurarsi voti con la violenza. In virtù della conformazione societaria dei club stessi, hanno un ruolo nella scelta del presidente, oltrepassando spesso i limiti imposti per convenzione ai “soci”. In alcuni casi fanno da guardie del corpo dei calciatori. Ecco, Rafael Di Zeo è il loro rappresentante. Uno che collega il semi-mondo, la politica e il calcio. Così potente che la magistratura non ha mai avuto il coraggio di toccarlo. La Faz scrive che “la decisione del governo su chi è stato autorizzato a salutare la salma di Maradona quella notte è un primo indizio su chi finirà per gestirne l’eredità”.

“Cosa c’è nel futuro del nome di Diego, un museo? Un mausoleo come quello che l’ex presidente Néstor Kirchner ha ottenuto dalla moglie e presidente Cristina? Un luogo di culto per turisti ed estimatori? Un Istituto Maradona, una Fondazione?”, si chiede ancora il quotidiano tedesco.

Altro che spiccioli, in ballo c’è il culto di Maradona. Una leva economica e sociale troppo potente perché gli strateghi della politica e degli Affari non vogliano sfruttarlo ideologicamente e commercialmente. Il parallelo con Che Guevara non è solo una insignificante questione di magliette cheap, da quattro soldi. A Cuba hanno fatto del culto del leader rivoluzionario un brand, ormai distaccato dalla Storia. Diego il combattente per la libertà è il prossimo dio, pronto all’uso. Il Che Guevara del calcio, uno che plasmerà l’immagine dell’Argentina per decenni. Roba da far impallidire Evita Perón.

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