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Chang, che fece impazzire Lendl: “Ho vinto solo col cervello, ma non mi sono goduto niente”

Entrò nella leggenda al Roland Garros ’89, tra banane per i crampi, battute da sotto e risposte sulla riga del servizio: fece impazzire Lendl. Oggi scrive: “Non avevo il fisico, vincevo ragionando”

Chang, che fece impazzire Lendl: “Ho vinto solo col cervello, ma non mi sono goduto niente”

Michael Chang che preso dai crampi mangia banane al cambio di campo, e non si ritira. Chang che batte una seconda da sotto facendo esplodere il cervello di Ivan Lendl. Chang che si gioca il match point al quinto set del quarto turno di un Roland Garros che poi avrebbe vinto, anno 1989, rispondendo al numero 1 del mondo sulla riga della battuta, inducendolo al doppio fallo. QUEL Michael Chang, che regalò agli appassionati di tennis un pomeriggio da leggenda: Davide che batte Golia, Ivan Ledl, agli Open di Francia. Ora dice che non s’è goduto niente. Totalmente preso dal tour, vincere era solo una veloce tappa verso il passo successivo.

Oggi Chang è l’allenatore di Kei Nishikori. E’ stato numero 2 del mondo, ha vinto 34 tornei ATP e per 24 volte ha perso solo in finale. Ed è diventato un mito del tennis per quel Roland Garros del 1989, che lo rese il più giovane uomo a vincere uno Slam, record imbattuto ancora oggi, in quella maniera.

Fece tutto questo con un fisico assolutamente non adatto allo scopo. E lui, in un post su Behind The Racquet ripreso anche da Ubitennis, ammette: lui giocava col cervello, vinceva con la testa. Eppure se “c’è una cosa che che probabilmente cambierei riguardo al mio periodo nel circuito è la mia mentalità“.

“Quando sei nel Tour ti senti per certi versi invincibile. Non ti rendi conto di quanto velocemente passi il tempo. A volte sei là fuori a giocare e pensi: “Ok, ho finito per questa stagione. Avanti la prossima”. Sono diventato professionista un po’ prima dei 16 anni e mi sono ritirato poco prima di compierne 32. Quegli anni son passati in un batter d’occhio. Col senno di poi, avrei potuto godermi qualche momento in più, per esempio le vittorie dei tornei. A volte vinci un torneo e, se è un torneo minore, lo dimentichi senza godertelo. Dici solamente qualcosa tipo: “OK, è stato un buon torneo, l’ho vinto. Testa alla prossima settimana”. E poi, probabilmente, mi sarei preso più tempo per godermi il secondo posto nella classifica mondiale”.

La mia caratteristica principale era il cervello. Non avevo né la stazza né la potenza, dovevo ragionare per vincere i match. Da allenatore, seziono lo stile di un giocatore e creo una strategia, il che è simile a quello che facevo nel circuito in prima persona. Un aspetto più difficile dell’essere allenatore è stare seduto sugli spalti, sapendo di non poter fare niente di più per l’allievo durante la partita. È difficile continuare a guardare quando vedo uno schema che sta facendo male al mio giocatore e lui non lo coglie”.

Chang ricorda a varietà di quel tennis di frontiera, prima che la tecnologia livellasse gli stili:

“Il tennis è cambiato di pari passo con la tecnologia delle racchette. Se si guarda alla mia generazione, si vede un bel mix di fondocampisti, tuttocampisti, giocatori specializzati nel serve-and-volley o nel chip-and-charge. C’erano un sacco di stili differenti contro cui giocare. Oggi non si vede molta varietà. I giocatori attuali possono generare più potenza e spin, sono cresciuti giocando con la nuova tecnologia e sanno come utilizzarla al meglio. Nessuno dei miei coetanei usa ancora le racchette e le corde che usava all’epoca, perché la nuova tecnologia ci permette di fare molto di più con minor sforzo“.

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