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Diego, la domenica della rabona

Artista dannato come gli artisti posseduti dal demonio, genio e sregolatezza? Era così Caravaggio. Molti osarono il paragone ardito.

Diego, la domenica della rabona

Fosti solo con un’illusione e una dannazione, e la banda che s’aggrappava ai tuoi successi e ai tuoi soldi, alla tua vita notturna, e scivolasti nello stordimento traditore. Solo ti ritrovasti a 22 anni, fra compagni di gioco gelosi e avversari che miravano alle gambe perché eri costato 15 miliardi ma non dovevi sentirti il padrone del mondo a Barcellona. Nessuno ti amò. Fosti solo, schiacciato da un’attenzione pesante, pressato da amicizie stolte, stordito da compagnie allegre, non più bambino di Villa Fiorito e non ancora uomo da fronteggiare la vita.

Il gioco diventò vizio. Dicesti un giorno: “Quando uno ci si trova, vorrebbe dire di no, ma finisce col sentire se stesso che dice di sì. Ti illudi di riuscire a dominarlo, di venirne fuori, e poi le cose si complicano”.

Furono una tregua, una speranza, una felicità vera quando spuntò all’orizzonte la città di un altro mare dove li pisce nce fanno all’ammore e le barche portano canti di marinai, una città azzurra che attese il bambino d’oro, il messia di una gioia degli occhi che era meglio di niente, una città che correva dietro a un pallone per sentirsi importante e che ebbe, alla fine, il più grande prestigiatore di palloni del mondo, di ieri, di oggi, di domani e di sempre, Diego Armando Maradona.

Fu un incontro d’amore e fantasia nello stadio immenso oltre le grotte di Napoli, sopra il fuoco dei campi flegrei e sotto il fianco occidentale della collina di Posillipo. L’abbraccio di una città di sentimento ti avrebbe salvato? Breve fu l’illusione di un riscatto e di una vita nuova, breve la pausa dell’attrazione fatale, brevi i giorni di felicità mentre le magìe del piede mancino dipingevano partite d’autore con le più straordinarie pennellate mai viste su un campo di calcio, saluti di letizia e messaggi di festa, quando i napoletani liberarono la fantasia con canti e striscioni e, inventarono, nella domenica più sonora, il porompompero. Fu il ritmo gioioso di una frenesia collettiva.

Il pallone era la tua vita. Perché cercarne un’altra senza i colori della domenica, al tramonto del sole? Le notti di Barcellona avevano aperto un varco dannoso nel tuo desiderio nascosto, e il varco non si chiuse nella città che ti amava. L’affetto dei napoletani non bastò, il gioco più bello del mondo non ti bastò, i gol e le vittorie non ti bastarono. Istintivo e ribelle, paladino di un popolo assetato d’allegria e di rivincite, re magio delle domeniche dei prodigi, ti nascondesti nelle notti del fuoco artificiale che scosse il tuo corpo prezioso, ti accese la testa e ti bruciò il cuore.

Un destino segnato. Il vizio, a metà segreto e a metà no, fu coperto dalle prodezze domenicali finché le gambe mulinarono le giocate sublimi. Artista dannato come gli artisti posseduti dal demonio, genio e sregolatezza? Era così Caravaggio. Molti osarono il paragone ardito. Tu, Diego, osannato e smarrito, felice e condannato, vincitore e vinto, regalasti l’ultima meraviglia in una domenica sorprendente, la domenica della “rabona”. Incrociasti il piede sinistro dietro il destro e, con questo passo di danza acrobatica, scodellasti col piede mancino il tiro più sorprendente di tutti i tuoi tiri sorprendenti.

(6 – continua)

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