Su Repubblica. «Fino al suo arrivo la convinzione di essere unici non aveva superato il casello di Caserta. Lui ci ha fatti uscire dal manicomio e ci ha resi, allo stesso tempo, fantasmagorici e possibili».
“Tutto quello che so è quello che mi ricordo. E io mi ricordo che c’è stata una stagione irripetibile, un momento in cui la disinvoltura ha avuto una precisa corrispondenza con la libertà. Valeva per la giovinezza della mia generazione e di quelle limitrofe. Valeva per Maradona. Lui era disinvolto e, dunque, libero. E anche noi. Adolescenti, ragazzi, giovani, adulti e anziani che ritrovarono una nuova, inattesa fanciullezza, almeno di domenica”.
Inizia così il ricordo di Maradona scritto da Paolo Sorrentino su Repubblica. Il regista racconta la sua prima volta allo stadio per vedere Diego, insieme al padre, che non era più andato al San Paolo dall’esonero del suo idolo Vinicio. Ricorda il controllo di un pallone pieno d’acqua da parte di Maradona, gli avversari fermi a guardarlo, consapevoli che fosse “meglio imparare che provare a contrastare”. Rimasero fermi persino i compagni,
“perché nessun giocatore di calcio, all’epoca, credeva che si potesse fare una cosa del genere. Il genio era solo, come sempre. Mio padre si irritò. Disse: «Non lo capiscono» e, di nuovo, non mise più piede allo stadio”.
Maradona, scrive, era come un marziano.
“Non lo capivamo. Perché veniva da un altrove. O troppo lontano o troppo vicino”.
Racconta gli appuntamenti con gli amici per andare allo stadio, in sei in una 850, le scaramanzie. Le risse sfiorate ogni domenica. E quello che Maradona ha fatto ai napoletani.
I napoletani, scrive, si sono sempre sentiti unici ed esclusivi rispetto agli altri.
“Solo che questa presunta consapevolezza non aveva da anni una cassa di risonanza adeguata, non travalicava il casello autostradale di Caserta. E, dunque, diventava una sterile ostentazione da matti, come quelli che ripetevano in manicomio: «Io sono Napoleone». Quando arrivò Maradona, trovammo la nostra cassa di risonanza. Lui, a ogni passo, a ogni strattone di qualche ragazzo esaltato, confuso e assordato, per strada o su un campo di calcio, con un sorriso timido e antico, sembrava dirci: «Farò sapere a tutto il mondo che voi napoletani siete unici, esclusivi e bellissimi. Siete tutti Napoleone»”.
Diego, continua,
“Ci ha fatti uscire dal manicomio e ci ha resi, allo stesso tempo, fantasmagorici e possibili. O forse ci ha illusi. Ma non ha nessuna importanza”.
Alla fine, comunque sia andata a finire,
“Maradona ci ha liberati, a noi napoletani, con un sorriso triste, dalla camicia di forza e ci ha resi leggeri almeno per un po’”.
Diego ha fatto sapere “al nord del mondo, operoso, laborioso ed efficiente” che “a Napoli eravamo felici.
Con lui
“Eravamo tutti uguali. Eravamo tutti Napoleone. Piccoli e imprevedibili come l’imperatore Maradona, liberi e irresponsabili, disinvolti e sorridenti”.