ilNapolista

Andrea Muccioli: «Certo che c’era violenza a San Patrignano, parliamo di una guerra, non della Caritas»

Al Corriere: «Sono stati fatti errori gravissimi. I tossicodipendenti degli anni ’80 venivano da contesti violenti, sarebbe stato inimmaginabile gestirli con la violenza, perché la violenza la conoscevano e la esercitavano meglio di te» 

Andrea Muccioli: «Certo che c’era violenza a San Patrignano, parliamo di una guerra, non della Caritas»

Il Corriere della Sera intervista il figlio di Vincenzo Muccioli, Andrea. Non nega che a San Patrignano c’erano delle violenze. Ma, dice, era una guerra, non la Caritas.

«Ho visto un ragazzo puntare un coltellaccio in pancia a mio babbo, avevo 16 anni. E sì, in quel periodo lui di schiaffoni ne ha dati non pochi. Sapevo anche dei ragazzi incatenati perché non fuggissero. Certo che la violenza c’era a San Patrignano, stiamo parlando di una guerra. Una guerra che però è stata vinta con la forza dell’amore».

E’ molto critico sul documentario che Netflix ha dedicato a San Patrignano.

«Beh, non lo definirei proprio un documentario. È pura e semplice fiction. Cerca l’effetto “pulp” creando più ombre possibili intorno alla figura del protagonista. Ci riesce benissimo, ma ne falsifica la storia, il pensiero e il modello».

Racconta solo alcuni dei fatti, sottolinea.

«Racconta alcuni fatti. In questi giorni sono subissato di telefonate di ex ospiti e dei loro genitori che mi dicono che quella non è la realtà che hanno vissuto. Mio padre in 17 anni ha accolto 8mila persone. La Procura di Rimini raccolse le testimonianze di 200 persone: sono il 2,5%. La storia di San Patrignano non può essere guardata solo da questa prospettiva».

Sui metodi coercitivi utilizzati in comunità:

«Credo anzi che siano stati errori gravissimi. Ma quando parliamo di San Patrignano non parliamo della Caritas, con tutto il rispetto. Parliamo di un percorso drammatico di accoglienza di giovani, i tossicodipendenti degli anni ’80, che distruggevano le loro famiglie ed erano abbandonati dallo Stato. Venivano da contesti violenti e sarebbe stato inimmaginabile gestirli con la violenza. Perché la violenza la conoscevano e la esercitavano meglio di te. Come si fa a pensare di poter tenere insieme non dico mille persone, ma anche solo dieci con la forza? Scherziamo? Ecco, a proposito di fatti: la riprova di quello che dico sono le centinaia di bambini che i tribunali di tutta Italia ci diedero in affidamento».

Ammette di aver visto il padre mollare ceffoni, a volte. Il suo errore principale, dice, è stato

«Voler salvare tutti. L’accoglienza incondizionata ha un prezzo alto da pagare. Lui questo non lo accettava e così facendo a volte ha dato ai ragazzi una responsabilità più grande di quella che erano in grado di gestire. “Metto un letto a castello in più e ci arrangiamo” diceva di fronte alle centinaia di persone accampate fuori dal cancello. Ha aperto troppo rispetto alle nostre capacità organizzative. Il risultato è che ha delegato anche persone impreparate a gestire ragazzi in difficoltà».

Racconta gli scontri con il padre, che aveva aperto San Patrignano alla stampa.

«Eravamo sotto attacco e dentro la comunità c’erano giornalisti ovunque, sempre. La pressione era troppa, ma mio padre era convinto di poter gestire tutto a suo favore grazie al potere mediatico che aveva. Alla fine si ammalò, e la depressione lo ha strangolato. “Devo morire io perché San Patrignano continui a vivere” mi confessò».

Andrea ha gestito San Patrignano dal 1995, anno della morte del padre, fino al 2011. Poi è venuta meno la fiducia reciproca con i Moratti ed è stato destituito.

«Mi sono ritrovato a dover ripartire da zero con una famiglia sulle spalle. Oggi faccio il consulente per il terzo settore e l’enogastronomia. Non ho rimpianti».

Vincenzo Muccioli, conclude, era:

«Una montagna di uomo, con due mani grandi e degli abbracci che ti inghiottivano. Considerava tutti i ragazzi che soffrivano parte della sua famiglia, li chiamava i miei figli. Io ero uno di loro».

ilnapolista © riproduzione riservata