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«I metodi di Muccioli erano giusti. Un tossico in astinenza è pronto ad ammazzare anche la madre» 

Libero intervista un ex tossico ospite di San Patrignano. «Quando sento parlare chi non ha mai avuto in famiglia un tossicodipendente dico solo: vivetelo sulla vostra pelle, poi venitemelo a raccontare».

«I metodi di Muccioli erano giusti. Un tossico in astinenza è pronto ad ammazzare anche la madre» 

«Muccioli? Non mi ha mai incatenato, ma se lo avessero fatto lo avrei accettato senza problemi. I benpensanti non si rendono conto che un tossico, e soprattutto un tossico in astinenza è pronto ad ammazzare anche la madre. Basta guardare la cronaca. Quelli di Vincenzo erano metodi giusti che hanno portato risultati concreti: salvare vite umane».

A parlare, a Libero, è Nick Fibonacci, nome di fantasia di un ex tossico bolognese 57enne che ha appena pubblicato un libro in cui racconta la sua vita e anche il contatto con San Patrignano (Io Ero, Mondadori). Oggi è diventato consulente per una grande azienda.

Racconta che era arrivato a farsi anche 4- grammi di eroina al giorno.

«Mai usato un ago, mai una siringa. Tutta sniffata. È stata la mia salvezza. Ho evitato malattie, Aids e overdose».

A San Patrignano è entrato nel 1993. Ci è rimasto due anni. Proveniva dal carcere.

«Era la seconda volta che finivo in galera. Ma avevo deciso che volevo chiudere con la droga. Una decisione lucida, dopo anni di bagordi. Perché a me la fattanza, così la chiamavamo, piaceva».

Continua:

«Io mi sono drogato e ho spacciato per fare quello che non avrei mai potuto fare, la bella vita, per far saltare il banco. C’erano due possibilità: o eri ricco sfondato, e ho visto gente che si è mangiata tutto per la roba, oppure trafficavi per avere la polvere. Io ho preso questa strada, dall’inizio degli anni ottanta al ‘92».

In carcere un compagno di cella gli parlò di San Patrignano

«e del metodo per entrare. Per un anno ho scritto ogni giorno una lettera a Muccioli. Mi firmavo Cavallo Pazzo e facevo finta di essere disperato. Alla fine Vincenzo mi prese. Ma il tempo dell’eroina era già finito. La droga per me è stata un viaggio pazzesco, un amore viscerale per dieci anni. Era come andare in paradiso e non puoi descrivere un orgasmo. Ma se ogni giorno ti metti a scopare cinque fighe poi arriva il momento che dici basta. Ti stufi. A me è successo questo. Ma sono stato fortunato. Non mi bucavo e arrivai a Sanpa che ero già disintossicato».

Si era disintossicato in carcere.

«In carcere. Ho fatto il down in cella. Farsi delle righe non è la stessa cosa che farsi in vena, hai una percentuale altissima che sprechi. Stavo male per quattro, cinque giorni, mi davano delle pasticche per dormire, e i miei down non erano così tremendi come quelli degli altri. Dopo due settimane in galera stavo già bene e si erano rimesse in moto le endorfine».

Sulla serie di Netflix, SanPa, dice:

«Non è stata una cosa equilibrata. È evidente che volevano creare una polemica, hanno dato spazio soprattutto a quelli che hanno parla tomale di Vincenzo. Gli unici a favore erano Andrea Muccioli e Red Ronnie che tossici non sono mai stati».

Mai visto neanche uno schiaffo, durante la permanenza a San Patrignano, racconta, «ma è successo, sicuramente». E giudica le catene, gli schiaffi e la violenza che emergono dalle testimonianze e dalla serie come inevitabili.

«Ci stava. Quando tu sei un tossico in astinenza fai qualsiasi cosa, non capisci più un cazzo. Faresti fuori chiunque per rubare dei soldi. Quando sento parlare chi non ha mai avuto in famiglia un tossicodipendente, chi non è mai stato lì dentro, dico solo: vivetelo sulla vostra pelle, poi venitemelo a raccontare».

Era a San Patrignano nel periodo della morte di Maranzano.

«Guarda, è chiaro che non doveva succedere ed è una cosa gravissima. Ma se uno pensa ai delinquenti che c’erano in quel posto, era molto facile che scoppiassero dei casini».

Su Muccioli e il suo silenzio:

«Vincenzo era come un padre, un confessore. Sapeva i segreti di un sacco di gente, roba nascosta fuori, cose orribili fatte da persone prima di entrare in comunità, tante cose. Se avesse tradito uno, avrebbe tradito tutti e sarebbe venuta giù la baracca. Lo ha fatto per proteggere San Patrignano. E ha fatto bene».

Da parte sua, a San Patrignano va una riconoscenza eterna.

«Finché campo ringrazierò Vincenzo Muccioli, che era un uomo con tanti difetti, un megalomane, ma era un uomo che ha raccattato gente per strada con la siringa attaccata al braccio e li ha fatti rinascere. Io dopo un anno di comunità potevo anche uscire, ma dissi al mio avvocato che volevo rimanere perché ne avevo bisogno. Ho imparato a rispettare le regole, a vivere in un certo modo, a lavorare. All’inizio pensavo che fossero delle assurdità. Ti faccio un esempio. Quando mi capitava il turno per apparecchiare i tavoli dovevi mettere la tovaglia in modo che ai lati cadessero giù solo dodici quadratini. Se lo facevi male, arrivava il responsabile che te lo faceva rifare. Sembra una stupidaggine, ma ti cambia il cervello».

 

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