Responsabilità e organizzazioni sono le parole chiave. Non c’è bisogno di prenotazione. Il racconto di Elena Loewenthal su La Stampa

Mentre in Italia la vaccinazione anti Covid procede a rilento e in mezzo a decine di incognite, in Israele viaggia a livelli altissimi. Lo racconta, su La Stampa, la scrittrice e traduttrice Elena Loewenthal. A Tel Aviv ci si vaccina in una tensostruttura eretta in pochi giorni, al centro di Piazza Rabin, nel cuore della città. La campagna vaccinale è iniziata due settimane fa e il 12% della popolazione ha ricevuto già la prima dose ed ha fissato l’appuntamento per la seconda.
Si fanno 120mila iniezioni al giorno e da qualche giorno può prenotare la sua dose anche chi non è cittadino né residente ma si trova in Israele e ha più di sessant’anni.
In poche settimane, di questo passo, tutta la popolazione del paese al di sopra dei 16 anni sarà vaccinata.
“Ci si vaccina in una vasta gamma di luoghi: scuole, ospedali, strutture provvisorie. Ci si vaccina anche senza la prenotazione: chi accompagna un anziano, chi si mette in fila perché di passaggio può ricevere il vaccino che avanza da una fiala aperta, giusto per non sprecare niente. Si vaccina sette giorni su sette“.
Come è possibile che ci sia un tale distacco tra Israele ed il resto del mondo? Le spiegazioni sono diverse.
Innanzitutto c’è l’appuntamento elettorale di marzo prossimo, al quale il primo ministro Netanyahu intende arrivare con l’immunità di gregge. Ma non solo.
Israele è da sempre alle prese con l’emergenza
“che si tratti di assorbire ondate di profughi dall’Europa della Shoah o dai paesi islamici nell’immediato dopoguerra o di affrontare una catena di guerre. Qui la tracciabilità è tanto coperta da una cybersecurity all’avanguardia quanto ovvia, cioè sinonimo di tutela: ogni israeliano ha sullo smartphone una app che lo avverte quando parte un missile da Gaza o dalla Siria e a seconda di dove si trova gli dice quanti secondi ha per raggiungere il rifugio più vicino. Qui vige un sistema sanitario pubblico cui si accede tramite assicurazioni semi-private. E c’è una logistica allenata che coinvolge tutto il sistema: nell’organizzazione della campagna vaccinale una parte importante l’hanno svolta l’esercito e l’intelligence“.
Annientare il virus e organizzare tutto per questa missione, riporta ai valori incarnati da sempre dallo Stato ebraico. Il primo, spiega la Loewenthal, è quello della “responsabilità”
“parola che in ebraico riconduce al concetto di “alterità”: siamo tutti legati da un impegno reciproco. Agire insieme per il bene è un dettato morale che presuppone la consapevolezza di un destino comune”.
E poi c’è il precetto ebraico che spinge a scegliere la vita invece che la morte.
“La vita, parola ebraica che si esprime con un nome plurale, viene prima di tutto. E quando c’è uno strumento che garantisce la salvezza bisogna impiegarlo fino in fondo. Senza dubbi, senza risparmi di energie”.