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Il Napoli di Gattuso aveva un piano-partita? Ci è parso di no

Il Napoli ha manifestato compiutamente solo obiettivi difensivi. Nel secondo tempo, fino al 35esimo, solo un tiro in porta, peraltro non nello specchio

Il Napoli di Gattuso aveva un piano-partita? Ci è parso di no

Una sconfitta tattica

Nel dizionario italiano, c’è un termine che spesso – soprattutto nel passato – è stato utilizzato in maniera creativa per descrivere l’atteggiamento tattico di una squadra di calcio. Questo termine è “sornione”. Secondo il dizionario, si definisce “sornione” un individuo «che, sotto la maschera di una placida o bonaria indifferenza, nasconde un’astuzia vigile e sottile». Per estensione, una squadra sorniona è una squadra che gestisce la partita in maniera apparentemente passiva, ma poi è in grado di piazzare il colpo decisivo per vincerla. Ecco, il Napoli visto nella finale di Supercoppa contro la Juventus ha provato a giocare in questo modo. E ci è anche riuscito, ma solo nel primo tempo.

Nel calcio, la differenza tra gestire la partita e subirla è molto flebile. Specie quando si adotta un atteggiamento passivo, anche solo apparentemente. E infatti, nella ripresa della gara contro la Juve, il Napoli sornione è diventato un Napoli letteralmente dominato dai bianconeri. Che, in verità, non hanno fatto nulla di così trascendentale: semplicemente avevano un piano partita e l’hanno applicato. Per piano-partita, solitamente si intende una serie di obiettivi tattici da raggiungere, in tutte le fasi di gioco. Ieri sera, ripetiamo, la Juve aveva degli obiettivi tattici. Il Napoli di Gattuso, invece, ha manifestato compiutamente solo obiettivi difensivi; in attacco, le azioni degli azzurri sono state troppo rare ed estemporanee perché si potesse o si possa parlare di un vero piano-partita.

Nella ripresa, questa mancanza tattica è stata troppo visibile, perché una Juve semplicemente più equilibrata rispetto a quella vista a San Siro non prendesse il sopravvento. La sconfitta del Napoli è tutta qui, ed è molto più tattica rispetto a quanto si direbbe pensando al rigore sbagliato di Insigne e alle due parate di Szczesny, tutte occasioni nate da manovre molto casuali.

Le scelte di Gattuso e Pirlo

I due tecnici si sono presentati a Reggio Emilia con atteggiamenti opposti, frutto anche dei risultati dell’ultima giornata di campionato. Gattuso ha ripresentato lo stesso Napoli, col solo avvicendamento tra Di Lorenzo e Hysaj; Pirlo, invece, ha ritrovato Cuadrado e soprattutto ha modificato l’assetto del centrocampo: se a Milano aveva optato per il 3-5-2 in fase offensiva con lo scivolamento a sinistra (Frabotta agiva da quinto di centrocampo con Ramsey in posizione di mezzala e Chiesa sull’altra fascia), stavolta la corsia su cui si attuava questo meccanismo era quella destra, con Cuadrado che si sovrapponeva esternamente a McKennie, mentre Chiesa si è mosso a sinistra. Rispetto al match di San Siro, inoltre, il tecnico bianconero ha schierato Arthur e Bentancur davanti alla difesa; in avanti, Ronaldo e Kulusevski.

Lo schieramento liquido della Juve di Pirlo: in alto, il 3-5-2 in fase offensiva; nell’immagine sopra, il 4-4-2 in fase difensiva, con Cuadrado che scala sulla linea dei difensori e Danilo che “scivola” nello slot di terzino sinistro.

Qual era il piano-partita della Juve nascosto tra le pieghe di queste scelte? Innanzitutto, la ricerca continua – per non dire ossessiva – dell’imbucata tra le linee di centrocampo e difesa del Napoli. In questo senso, la scelta di schierare Arthur si è rivelata azzeccatissima: il brasiliano ex Barcellona ha orchestrato le azioni offensive dei bianconeri con continuità e precisione, tanto che a fine gara è risultato il giocatore con la più alta percentuale di precisione nei passaggi (addirittura pari al 98%) e il maggior numero di appoggi in avanti riusciti (35) tra tutti quelli che sono scesi in campo.

In pratica, la Juventus portava il pallone dalla difesa fino ai piedi di Arthur, che ha sempre cercato un corridoio verticale per azionare Kulusevski o McKennie tra le linee; a quel punto lo svedese e/o l’americano avevano la possibilità di girarsi per far progredire l’azione in conduzione, oppure aprivano il gioco sugli esterni a tutta fascia.

È così che la Juventus ha provato a forzare il sistema difensivo del Napoli fin dal primo istante. Non a caso, a fine gara il numero dei cross tentati dai giocatori di Pirlo è risultato decisamente elevato (23, contro i 15 del Napoli). In fase difensiva, invece, il piano partita dei bianconeri era quello di restare molto alti per togliere la profondità immediata agli avversari. La strategia è stata applicata bene ed è riuscita perfettamente, anche perché il Napoli – a differenza dell’Inter – non ha cercato di prendersi velocemente gli spazi lasciati sguarniti dai difensori di Pirlo, ma ha preferito giocare in maniera più diligente e ordinata, senza scomporsi e cercando sempre di costruire l’azione ragionando molto. E il problema è stato proprio questo.

Dal sito della Lega Serie A, i dati sul baricentro di Juve e Napoli in fase passiva.

Sì, perché alla fine il Napoli è mancato proprio nella capacità di costruire azioni potenzialmente pericolose. In pratica, la squadra di Gattuso non è andata oltre il colpo di testa di Lozano nel primo tempo. Quella resta l’unica manovra lineare che ha portato a un tiro finito nello specchio della porta. Le uniche due altre conclusioni su cui è dovuto intervenire Szczesny sono arrivate su calcio piazzato (punizione di Insigne nel primo tempo) e al termine di una mischia in area – con doppia deviazione – nel finale. Poi ci sono stati altri 5 tiri degli azzurri, ma tra questi solo il rigore di Insigne è stato – più o meno – pericoloso.

Il punto, però, non sta tanto nel numero di azioni da gol costruite, quanto nel modo in cui il Napoli avrebbe dovuto costruirle. Procediamo per domande: qual era il piano partita della squadra di Gattuso? Con quali strumenti tattici collettivi, o anche individuali, il Napoli avrebbe dovuto attaccare la Juventus? La risposta potrebbe essere: imbastendo azioni come quella – splendida – che ha portato al colpo di testa di Lozano nel primo tempo. Ma quante altre volte, nel corso della gara, abbiamo visto Demme sovrapporsi internamente dal lato di Insigne per tentare un cross?

Se riavvolgiamo ancora un po’ l’azione in questione, troveremo uno spunto di Lozano che supera di slancio Danilo con il primo controllo. Ecco, quella poteva essere un’idea, sfruttare il mismatch sul lungo tra l’esterno messicano e il terzino della Juve. Ma quante altre volte, nel corso della gara, Lozano è stato cercato in modo che potesse duellare uno contro uno con il suo avversario diretto? Poche, anzi praticamente mai. Lo dicono i numeri: il messicano ha toccato appena 35 palloni in tutta la gara. Eppure è stato il giocatore che ha tentato più volte il tiro (2, ed entrambe le conclusioni sono finite in porta) e più volte il cross (3) e il dribbling (4) tra tutti quelli schierati da Gattuso.

Al Napoli sarebbe bastato alzare il ritmo del possesso, come in questo caso, per creare problemi alla Juventus. E invece quest’azione è stata rara, anzi unica, nella gara degli azzurri.

Il nulla tattico

Spesso, in questo spazio, abbiamo rimproverato a Gattuso l’eccessivo ricorso a un gioco Insigne-centrico, la ricerca esasperata della costruzione bassa a scapito di manovre più dirette, più verticali – che potrebbero essere più nelle corde di molti giocatori della rosa. Ecco, è impossibile fare questo appunto per la gara contro la Juventus, perché il Napoli non ha proposto neanche quel tipo di soluzione. Nel primo tempo ha contenuto – pure agevolmente, va detto – gli avversari, ha accelerato poco e ha risparmiato energie. Nella ripresa, è svanito pure questo piccolo vantaggio strategico. Perché la Juventus ha capito che sarebbe bastato alzare il ritmo per schiacciare gli avversari nella propria metà campo, e allora l’ha fatto; da par suo, il Napoli non aveva strumenti e/o meccanismi a cui aggrapparsi.

Se nell’ultima gara contro la Fiorentina abbiamo visto un Napoli in grado di applicare una strategia evidentemente studiata nel prepartita, di rendere tangibile un’idea di gioco – nella fattispecie: la ricerca della verticalità per sfruttare lo sbilanciamento degli avversari in pressing –, a Reggio Emilia la squadra di Gattuso è stata tatticamente nulla. I numeri, da questo punto di vista, sono impietosi. Dal primo al 35esimo minuto della ripresa, sono successe le seguenti cose: il Napoli ha tentato una sola conclusione verso la porta di Szczesny, tra l’altro senza centrare lo specchio; i giocatori di Gattuso hanno servito 29 passaggi nell’ultimo terzo di campo contro i 61 della Juventus; hanno tentato per 5 volte il dribbling, e 2 volte è stato Di Lorenzo a provarci, mentre i bianconeri lo hanno fatto per 11 volte.

Dal punto di vista puramente tattico, il Napoli visto a Reggio Emilia è una squadra in regressione pure rispetto a quanto fatto vedere più o meno un anno fa, proprio nelle gare che valsero la vittoria in Coppa Italia. Anche il possesso palla sofisticato di cui abbiamo parlato in precedenza, accoppiato a una difesa stretta e compatta, non è stato utilizzato. Perché le scelte di formazione – dettate anche dalle qualità dei giocatori a disposizione – e le spaziature adottate non hanno reso agevole la costruzione dal basso, l’uscita pulita del pallone.

In questi due frame siamo già nella ripresa. Il Napoli riparte da dietro, come da abitudine, ma alla Juve basta alzare un po’ i ritmi difensivi, e cinque giocatori in pressing, per chiudere tutte le linee di passaggio ravvicinate. Una squadra che vuole praticare possesso arretrato, indifferentemente dal modulo con cui viene schierata, deve riuscire a trovare le linee per fare uscire il pallone in maniera pulita. Il Napoli visto a Reggio Emilia non è stato quasi mai in grado di costruire un’azione che, dal basso, gli abbia permesso di arrivare in area avversaria in maniera lineare.

E così, come detto, il Napoli della ripresa si è trovato in balia dell’avversario. Senza avere non tanto la volontà, quanto la possibilità di uscire dall’impasse. Il fatto che, nel finale di partita, Gattuso abbia trasformato la sua squadra rendendola più tendente al rugby che al calcio – per numero di attaccanti schierati e totale assenza di schemi – è un ulteriore segnale rispetto alla mancanza di idee. Iniziali e alternative.

Questi ultimi paragrafi chiariscono che le critiche rivolte al Napoli non hanno radici ideologiche. Secondo chi scrive, infatti, la squadra di Gattuso non deve necessariamente giocare in verticale, o intensificando il possesso palla per dominare le partite, oppure attuare una strategia puramente difensiva, speculativa. Il punto non è il cosa, piuttosto il come. Il punto è che il Napoli, in alcune partite, sembra non avere un piano. Oppure questo piano è talmente limitato che basta poco, davvero poco, per mandarlo in frantumi.

Se dopo la partita di Udine, in questo spazio, avevamo scritto che «il Napoli soffre psicologicamente la mancanza di tattiche “di riferimento” e ” di rifugio”, soffre il fatto che spesso Insigne è l’unica risorsa che si prova a sfruttare davvero», contro la Juventus abbiamo visto solo puro contenimento. In entrambe le gare, insomma, abbiamo visto troppo poco, a livello tattico e di intensità, per poter giudicare positivamente la prestazione. Poi magari succede che alla Dacia Arena gli episodi girano, e il Napoli vince la partita grazie a un colpo di testa Bakayoko su calcio di punizione, all’ultimo minuto; contro la Juve va però diversamente, Insigne sbaglia un rigore e la maggior qualità di Ronaldo e Morata e Arthur fa la differenza. E allora il Napoli perde.

Conclusioni

Il Napoli di oggi è dunque una squadra che difficilmente va oltre il valore e l’intensità dei suoi giocatori – parametri che, a loro volta, sono influenzati da fattori esterni quali condizione fisica, emotiva, ispirazione del momento e così via. In alcune partite, per esempio quella contro la Fiorentina, la mano e le scelte di Gattuso sono state visibili, anche perché in quel caso il tecnico calabrese ha individuato una chiave tattica e l’ha sfruttata a suo vantaggio. In molte altre gare, però, il Napoli ha finito per esprimere idee troppo semplici, troppo limitati e limitanti.

Certo, a volte incidono anche gli episodi e le scelte dell’avversari. Ma il senso di costruire una squadra coerente, e di allenarla con coerenza, è proprio questo: fare in modo che i risultati possano arrivare in tutte le condizioni, attraverso un’identità tattica radicata oppure lavorando su un approccio mutevole ma complesso, in grado di variare di partita in partita, all’interno della stessa partita. Ogni volta che c’è bisogno. Il Napoli di Gattuso non va in nessuna di queste due direzioni in maniera convinta. È una squadra assemblata in maniera illogica e che, tatticamente, è ancora indefinita. Del resto ha perso contro Juve, Milan, Inter e Lazio da novembre a oggi. Ecco, è evidente che non può proprio essere un caso.

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